In principio fu Dogtown and Z-Boys,
(anch'esso nelle sale in questi giorni), un esaltante documentario del
2001 premiato al Sundance Film Festival, che, attraverso l'alternarsi
di immagini di repertorio e interviste recenti, racconta come agli
inizi degli anni '70, un gruppo di scapestrati surfisti segnò la svolta
della cultura giovanile americana, inventando un nuovo modo di andare
su tavola rendendo lo skateboarding un fenomeno di culto. 
Poi venne Lords of Dogtown,
versione romanzata riveduta e corretta di quel documentario, che,
basandosi sulle vicende li' narrate, ci riporta agli eventi vissuti da
tre giovani abitanti di quel quartiere tra Venice e Santa Monica. Tony,
Jay e Stacey, membri dello Zephir Skating Team, vivono alla giornata
tra un'onda da "surfare" o una piscina vuota da "skateare" . Ma è lo
skateboard, la tavola a rotelle, che cambierà per sempre il corso della
loro vita, soprattutto dopo la scoperta delle rotelle in uretano che
consentono di restare incollati all'asfalto. Questa passione comune,
però, li porterà a percorrere strade diverse. Da virtuosi della tavola,
verranno idolatrati come rockstar, portandosi appresso anche tutti gli
aspetti più scomodi di questa metamorfosi. Chi si farà accecare dai
dollari facili, chi seguirà il proprio fiuto per gli affari e chi
invece, per scelte di orgoglio, non cederà ai lustrini dello
star-system e finirà per farsi inghiottire dal proprio lato oscuro. La
regista Catherine Hardwicke, qui alla sua seconda opera dopo l'intrigante Thirteen,
ci consegna tutto sommato un buon prodotto, senza scostarsi troppo
dalla storia originale e scaraventandoci direttamente nell'adrenalinico
mondo degli Z-Boys con riprese a rasoterra e sequenze elettrizzanti. La
presenza di Stacey Peralta, membro dello Zephir Skating Team originale (qui in veste di sceneggiatore e gia' regista di Dogtown and Z-Boys),
garantisce un taglio più "street" alla pellicola e un occhio più
esperto, evitando di scadere nel teen-movie (dialoghi a parte
). Peralta è tuttoggi un produttore di tavole da skate e un apprezzato cineasta. 
Da segnalare, tra una
selva di giovani attori abbastanza sconosciuti ai non addetti ai lavori
(su cui spicca il biondissimo e algido John Robinson già visto in Elephant di Gus Van Sant), un irriconoscibile Heath Ledger nella parte del proprietario del negozio di surf dal quale tutta la vicenda ha origine.
Sarà venuto spontaneo fare un paio di considerazioni a chi ha visto prima il documentario e poi il film: innanzitutto in Dogtown and Z-Boys
i protagonisti assoluti sono lo skateboard (ma prima ancora il surf),
la sua evoluzione e i personaggi, veri e propri miti che ne hanno fatto
la storia. Poi ci sono i luoghi in cui avvien
e
il mutamento, la' dove e' nata la necessità di cercare nuovi spazi,
modi inediti di esprimere la voglia di libertà e sfogare la rabbia
adolescenziale. Nel film, rispetto al documentario, emerge il lato
umano dei protagonisti, accentuato da una visione più femminile e
sensibile della regista e anche dalla presenza sullo schermo di una
donna, ovvero la sorella di Tony Alva (Nikki Reed, già sceneggiatrice e interprete di Thirteen)
che seminerà zizzania tra Stacey e Jay (c'è sempre di mezzo una donna
)
stimolando in loro una competizione non solo sportiva. Più
introspezione anche nel personaggio di Jay Adams, animato da uno
spirito anarchico e ribelle fino alla fine. Ma nonostante il fato (o il
business?) abbia portato i tre a separarsi, ci sarà sempre il fondo di
una piscina vuota a riunire i "Signori di Dogtown" e a ricordare loro
il motivo per il quale tutto ebbe inizio: porsi un limite e superarlo.
La tentazione, una
volta fuori dal cinema, di andare a comprarsi uno skateboard, è
fortissima, ai meno spericolati si consiglia di arginare tale impulso
con l'acquisto della splendida colonna sonora targata Jimi Hendrix,
Deep Purple, Iggy Pop, David Bowie, Pink Floyd.