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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Locandina
 
 
 
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Trama

Amore tra classi sociali diverse nell'Italia degli anni '30.

 
 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3/5
  • valutazione
  • Non è il miglior film di Pupi Avati. Ha il pregio e il merito, qualità rare nel cinema nostrano, di raccontare una storia con garbo e grande mestiere.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
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Info

Il cuore grande delle ragazze

di Pupi Avati

 
    Dati
  • Titolo originale: Il cuore grande delle ragazze
  • Soggetto: Pupi Avati
  • Sceneggiatura: Pupi Avati
  • Genere: Commedia - Sentimentale
  • Durata: 85 min.
     
  • Nazionalità: Italia
  • Anno: 2011
  • Produzione: DueA, Medusa Film
  • Distribuzione: Medusa
  • Data di uscita: 11 11 2011
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Una storia d'altri tempi

di Filippo Cannizzo

Giuseppe Avati, detto Pupi, nato a Bologna nel lontano 1938 è uno dei registi italiani più longevi ancora in attività. Specie negli ultimi anni, il regista emiliano, sforna un film dietro l’altro. Una storia da raccontare, un passo tratto dal suo passato e dai suoi ricordi più intimi, si trasforma in sceneggiature pronte per essere messe in scena. Piccoli ritratti di com’eravamo, in confronto a come siamo adesso. Quasi fosse un modo, per il regista, di sentirsi ancora ragazzino, e come se i suoi passi potessero ritornare indietro nel tempo. Per fermarsi a un istante ben preciso e indimenticabile. E nel farlo parla anche di noi e per noi.

Era successo in occasione di una Sconfinata Giovinezza - e in altre pellicole più datate - in cui il deterioramento progressivo della memoria del protagonista (l'Alzheimer), diveniva strumento per andare indietro nel tempo. L’ultimo film,Il cuore grande delle ragazze, conduce lo spettatore nella campagna di un piccolo paesino del Centro Italia ai tempi del periodo fascista. Metà degli anni '30. La campagna come soggetto in cui si animano le vicende della famiglia Vigetti e dei suoi tre figli: il piccolo Edo, Sultana e Carlino. Il padre, un ottimo Andrea Roncato,è mezzadro presso gli Osti, il cui padrone Gianni Cavina, vedovo risposato con una romana, ha tre figlie di cui, le due naturali, in cerca di marito.

Carlino, il più grande, interpretato sufficientemente bene dalla sorpresa di turno Cesare Cremonini, è stato concepito all’ombra di un biancospino, avendo ereditato l'alito dell’ardita pianta, dal carattere cosi impertinente da essere un donnaiolo incallito. Non c’è donna che non cada ai suoi piedi, travolta dall’alito, a suo dire, profumato di biancospino. L’ex Lunapop, interpreta se stesso, sornione, cascamorto, e il cinema di Pupi Avati sembra cadergli addosso perfettamente. Riesce a strappare sorrisi e timidi consensi anche in sala grazie all’aria stralunata e le parole cadenzate da un romagnolo di un tempo che fu. Il padre gli combina un matrimonio con le sorelle degli Osti, in cambio di una nuova Moto Guzzi e un rinnovo dell’affitto per altri dieci anni per la famiglia. Come spesso accade, un terzo incomodo, si mette in mezzo: la figlia acquisita degli Osti, la bellissima Micaela Ramazzotti, gli ruberà il cuore. E qui comincia una storia che Pupi Avati tratteggia con sottile ironia e in maniera crepuscolare, nel significato stesso che il termine poetico esprime. Nel senso di un qualcosa che non è più visibile, ma che riesce a trasmettere sensazioni e profumi lontani anche a chi quei tempi non li hai mai vissuti.

Il film ha il merito di raccontare una storia. Senza banalità ed eccessi di stile. In tempi di paradossi cinematografici, in cui si cerca di raccontare invano una storia, Pupi Avati riesce nell’impresa (visto quello che c’è nelle sale) di raccontarla, e bene, sino alla fine. Con garbo e mestiere le immagini della vita contadina ricostruiscono un tempo ben definito. Rigore e semplicità di una società misogina, patriarcale, in cui l’amore era scambiato con il sesso e viceversa senza di esso non poteva esserci l’amore. Eppure c’è molto della vita del regista in questo film, che senza stereotipare il tempo e la campagna italiana, costruisce una discreta sceneggiatura, a tratti, mi riferisco a qualche battuta, quasi anacronistica.

Sommariamente, sembra essere un canovaccio scritto su misura per la faccia di Cremonini. Senza dimenticare l’apporto della Ramazzotti il cui ruolo è decisivo nell’economia di una storia che volge al dramma per poi virare verso un dolce lieto fine. Il cuore grande delle ragazze, a tratti una commedia, a momenti una tragedia del cuore e dell’anima, non è, però, uno dei miglior film del regista bolognese. In questo forse la frenesia della casa di produzione gli impone una certa sintesi che potrebbe essere equivocata per superficialità.

Il film è come una fotografia sbiadita che riprende colore, e merita di essere guardata cosi com’è. Come una storia che si racconta e rimanda la mente e il cuore “altrove”. Chapeau al maestro.

 
 
 
 
 
 
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