Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- Seguite Penn e i suoi malinconico/ironici occhi azzurri che perforano il trucco
Il voto dei lettori
- voto medio
- 3/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 1 lettore
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This Must Be the Place
di Paolo Sorrentino
- Dati
- Titolo originale: This Must Be the Place
- Soggetto:
- Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
- Genere: Drammatico - Road Movie
- Durata: 118 min.
- Nazionalità: Italia, Francia, Irlanda
- Anno: 2011
- Produzione: Indigo Film, Lucky Red, Medusa Film
- Distribuzione: Medusa
- Data di uscita: 14 10 2011
Il viaggio liberatorio del sosia di Robert Smith
di Roberta Folatti
Un film cucito addosso a Sean Penn.
Una sceneggiatura che parte – come racconta lo stesso Paolo Sorrentino – dalla volontà di far aleggiare lo spettro dell’olocausto.
Due premesse che possono aver un poco condizionato la libertà creativa del regista napoletano, rendendo This must be the place fin troppo studiato, troppo “letterario”.
Lo dico pur essendo una grande fan di Sorrentino e avendo amato moltissimo Le conseguenze dell’amore. E classificandomi tra le adoratrici di Sean Penn, come attore, come regista e... come uomo!
Narrativamente ed emozionalmente il film risulta frammentato, alcuni personaggi su cui si intessono storie vengono abbandonati lungo la strada, dando la sensazione di una mano esterna incurante di loro. Cheyenne, il protagonista di This must be the place, non è il classico cacciatore di nazisti, di quelli con in mente un’unica ossessione. Anzi, oltre ad aver iniziato la sua ricerca per caso, sembra essere motivato più dal desiderio di liberarsi da quella specie di accidia/depressione che lo assedia che da un reale odio verso il “carnefice” di suo padre.
Il suo carattere non ha nulla della spietatezza e della determinazione che di solito contraddistinguono queste figure, messe in scena prendendo spunto dalla realtà. Cheyenne è una persona infantile e, dice Sorrentino: - Come molti adulti rimasti ancorati all’infanzia, ha il dono di preservare solo gli aspetti limpidi, commoventi, sopportabili dei bambini.
Da principio l’impatto con Penn truccato come Robert Smith dei Cure – mitico gruppo degli anni ’80 – è abbastanza respingente, la sensazione di avere a che fare con un personaggio parodistico e poco credibile è forte. Quel mascherone di fard, rimmel e rossetto dietro cui si nasconde Cheyenne è un filtro grazie al quale la rockstar precocemente autopensionatasi tiene a distanza gli stimoli, le emozioni troppo violente. Così l’impatto col mondo esterno risulta edulcorato. E anche il suo modo rallentato di muoversi è una sorta di ribellione all’efficientismo delle persone normali.
La prima parte del film è ambientata a Dublino, nel quartiere ordinato dove Cheyenne vive con la moglie. Qui la sua esistenza scorre piatta, sconfinando spesso in un principio di depressione. Avvertito della morte del padre, il protagonista vola a New York per il funerale: lì apprende qualcosa che non si sarebbe mai aspettato... Un nuovo punto di vista su suo padre che non ha mai voluto conoscere veramente, convinto com’era di non essere oggetto del suo amore.
A questo punto comincia la seconda parte del film, a metà strada tra un road movie e la cronaca di una caccia all’uomo. Tutto alla maniera di Sorrentino, con la stralunata sensibilità e quella sorta di sospensione del tempo che lo contraddistingue. Cheyenne percorre l’America incontrando persone strane, a livello estetico tutt’altro che convenzionali, che vivono ai margini di una società fino a pochi anni or sono regina dell’opulenza.
Sorrentino dice che girando il suo ultimo film è andato spesso col pensiero “quel capolavoro che è A straight story di David Linch”. La vicenda narrata ha una sua intrinseca originalità e procede di pari passo col rivelarsi a se stesso del protagonista. La trasformazione finale ci sta ed è più una conseguenza del viaggio intrapreso che dell’obiettivo raggiunto. Come sempre è il percorso a insegnarci qualcosa, indipendentemente dalla meta.
I lettori hanno scritto 2 commenti
- indirizzo IP 83.103.87.142
- data e ora Mercoledì 02 Novembre 2011 [15:01]
- commento A distanza di un paio di settimane dalla visione del film, posso dire di averlo apprezzato pur non avendolo amato alla follia. Una cosa è certa, Sean Penn è un mio chiodo fisso. E il sorriso finale del suo Cheyenne (per me) vale da solo il prezzo del biglietto.
- indirizzo IP 93.71.24.98
- data e ora Venerdì 04 Novembre 2011 [10:23]
- commento Anch'io sono una fan di Sorrentino e de Le conseguenze dell'amore sopra agli altri suoi film. E anch'io ho trovato troppo studiato e poco autentico questo This must be the place. Bello il sorriso finale, come dice Francesca, ma per arrivare a quel sorriso il film arranca, purtroppo. Solito doppiaggio orrido in italiano.
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