Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Interessante film psicologico: quello che si nasconde nel subconscio di un ragazzo spesso può riservare soprese piuttosto drammatiche.
Il voto dei lettori
- voto medio
- 4.4/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 9 lettori
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I Want to Be a Soldier
di Christian Molina
- Dati
- Titolo originale: I Want to Be a Soldier
- Soggetto:
- Sceneggiatura: Cuca Canals, Christian Molina
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 88 min.
- Nazionalità: Spagna, Italia
- Anno: 2010
- Produzione: Canonigo Films, Produzione Straordinaria
- Distribuzione: Iris Film
- Data di uscita: 14 10 2011
Un film che indaga l'inconscio adolescenziale
di Michela Albanese
Il film, basato su più di 1.000.000 di
storie vere, tratteggia la vita di una famiglia nel momento in cui
l’arrivo di due gemelli ne sconvolge la serenità, portando alla
rottura di ogni rapporto intrafamiliare: marito e moglie
(rispettivamente bene interpretati da Andrew
Tarbet e Jo
Kelly) vogliono separarsi ed il
primogenito di 8 anni, Alex (magistrale interpretazione del
giovanissimo Fergus Riordan,
nuova stella del cinema internazionale, qui al suo primo ruolo da
protagonista), che rifiuta il fratellino e la sorellina, sperimenta
l’escalation di un pensiero che da sogno innocuo ed innocente
(quello di fare l’astronauta) acquista sempre più i connotati di
realtà nuda e cruda, fatta di gesti violenti, di parole violente, di disegni, immagini e suoni violenti.
Il suo sogno non è più galleggiare nello spazio, sogno condiviso con il Capitano Harry (Ben Temple, eccellente interprete: The Kovak box - Controllo mentale, L’ultimo inquisitore, Fragile e Il viaggio di Carol), suo amico immaginario, ma diventare un soldato, dominare il mondo, calpestarlo con l’intera sua persona. Escalation catalizzata e quasi avallata da mass media (tv e carta stampata) e videogiochi, che propongono al bambino immagini e storie di guerra, crudeltà e distruzione. Realtà esterna, sociale e collettiva, che il piccolo Alex interiorizza massicciamente, portandola con crescente ossessione, quasi patologica, nei luoghi tipici dei bambini: la famiglia (casa sua, la sua stanza) e la scuola (dal preside, in classe, in bagno, in cortile). Su tale mitizzazione, pericolosa e staccata dalla realtà, contro cui si scontrano le insegnanti di Alex, ruolo impensabile ed inusuale per l’attrice italiana Valeria Marini (che è anche co-produttrice del film), si pronuncia il preside (Danny Glover, uno dei più noti attori afroamericani: Arma letale, Saw - L’enigmista, Witness - il testimone), avallato dallo psicologo scolastico (Robert Englund, il Freddy Krueger di Nigthmare), che chiama sempre più spesso a colloquio la famiglia del bambino.
Interessante la scelta di tutti gli interpreti, azzeccato soprattutto il ruolo di Valeria Marini che nel film veste i panni di una professoressa svampita e superficiale (poteva essere diversamente?), com’è spesso l’attuale mondo della scuola: l'attrice italiana non poteva essere più brava di così, visto il suo passato artistico. Forse difficilmente avrebbe potuto incarnare l’insegnante modello di cui la società ha bisogno (amara tristezza del nostro cinema d’autore di qualità).
Del film il cuore (e la mente, spesso in totale disaccordo) è Alex, che non è più un bambino, ma
un vero e proprio soldato: si veste da soldato, cammina come un
soldato, parla come un soldato. Marcia come un soldato. Pensa come un
soldato. E come un vero soldato si specchia e si ritrova soltanto
negli occhi di un altro soldato: il Sergente Cluster (sempre Ben
Temple, pure interessante figura
di doppio del doppio), suo nuovo amico immaginario ed alter ego.
L’ossessione della guerra diventa omofobica e delirante realtà di
guerra: vede nemici dappertutto – nemici da distruggere, spazzare
via. Nemici su cui sparare, da maltrattare, da
picchiare, da torturare. Con crudeltà, onnipotenza e
disprezzo. Geniale trasfigurazione immaginaria che prende vita
nell’inconscio del ragazzo. Tutto fermenta nella mente: la
società, purtroppo, di sovente non sa vedere e riconoscere i lati
più reconditi della mente umana.
A volte per evitare una tragedia
umana basta semplicemente ‘uccidere’ un pensiero e la sua stessa
origine. Un film che lascia il segno, indubbiamente. Seppure
soggetto, per un piccolo errore tecnico di regia, ad un equivoco:
sembra un film contro la TV, ma non lo è, come ha voluto ribadire
più volte lo stesso regista Christian
Molina. Essendo focalizzato
soprattutto sull’oggetto
televisione e sul ruolo che essa
ha nella storia narrata, bastava evitare tale concentrazione. Tranne
qualche pagina di quotidiano, tutte le immagini di violenza del film,
collegate o meno all’evento
guerra, provengono dal tubo
catodico. Manca internet, diffusissima realtà odierna, che come la
tv entra oggi in quasi tutte le case, mezzo di comunicazione sia
interattivo che in parte diseducativo, poiché finisce con l’isolare
ed emarginare chi ne fa un uso così frequente e martellante. Altra
nota da segnalare: il film è più che mai attuale, sotto gli occhi attenti
della critica. Ma il giornalismo – e la critica – avrebbero
probabilmente bisogno di uno ‘svecchiamento’, di spazzare via i
luoghi comuni per crescere sul serio. E'
tempo di un giornalismo maturo, che si attui e si compia,
nell’esplicazione di tutte le sue funzioni e del suo ruolo sociale
e collettivo, con umanità e con coscienza, riportando i fatti certo
(indimenticabili le tipiche “5 W”), ed introducendo anche una
nota critica.
Sarebbe auspicabile che non si seguisse la moda o la tendenza (socioculturale,
economica, politica) del momento, sostenendola e perciò avallandola
(giornalismo di partito? politico? popolare...?), ma si fornissero strumenti per stimolare riflessione ed introspezione, nonché si giungesse al riconoscimento che errare è umano, così come perpetuare l’errore
è molto più tragico e negativo, poiché diabolico. Un giornalismo
nuovo, che maturi con il maturare dei tempi (e dell’uomo), che
abbia pertanto un carattere molto più forte e costante, irrorato di
nuovo spirito. Molina dirige un film che indaga l’inconscio
adolescenziale, ma anche quello della famiglia e della scuola,
talvolta segreto, nascosto da una patina fitta di quotidianità, di
fiducia e sicurezza date fin troppo per scontate. Per giovani e
giovanissimi spesso i primi luoghi di violenza e del conseguente
disagio sono proprio la famiglia (il luogo
casa) e l’istituzione
scolastica (il luogo scuola).
Più della strada, luogo naturale che segue alla realtà spezzata di
una famiglia e/o di un ambiente scolastico in qualche modo “rotti”,
distrutti da realtà a volte più grandi dei bambini stessi (e delle
loro stesse famiglie, evidentemente). Come scrive la piccola Sofia
Isabel, ‘le guerre cominciano
per stupidità della vita, io voglio questo, io voglio quell’altro…
C’è uno scontro con altre terre per avere più potere, ricchezze e
terre. C’è molta violenza, distruzione delle cose… tutti devono
vivere in pace, le guerre non sono necessarie, così tutti vivremo
felici e in pace’.
Dovremmo imparare da questa ragazzina: le guerre non sono necessarie. Così come la violenza, ed ogni atto compiuto in nome della violenza. I want to be a soldier: non un film contro il piccolo schermo o i videogiochi violenti, ma contro la violenza. Specie quella giovanile, che dilaga a macchia d’olio. E mentre il regista vuol mettere in guardia famiglie ed insegnanti, che per primi hanno l’onore e l’onere di formare gli adulti di domani, Daniel Craig, protagonista con Harrison Ford del film Cowboy & Aliens, in un’intervista recente afferma che la violenza lo diverte solo se è puro istinto... C’è da chiedersi: il puro istinto giustifica la violenza? Il problema non è quando, perché e come mostrare (o non mostrare) la violenza. Il (vero) problema è eliminare la violenza. Distruggerla! Abbatterla. Far sì che non ci sia più violenza. Nei gesti e nei pensieri dell’uomo. Nel suo stesso spirito.
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