Incontro tra due coppie di genitori per risolvere la lite violenta dei rispettivi figli. Quattro adulti dall'apparenza civile si imbarbiranno man mano.
Il voto del redattore
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- 3/5
- valutazione
- Un ottimo inizio, una fine mediocre, lo spazio teatrale non è semplice da reggere al cinema, probabilmente un migliore lavoro sulla sceneggiatura avrebbe giovato
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- genere Drammatico
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- Anna Romana Sebastiani
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
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Carnage
di Roman Polanski
- Dati
- Titolo originale: Carnage
- Soggetto: Yasmina Reza (piece teatrale)
- Sceneggiatura: Yasmina Reza, Roman Polanski
- Genere: Drammatico - Sentimentale
- Durata: 79 min.
- Nazionalità: Francia, Germania, Polonia, Spagna
- Anno: 2011
- Produzione: SBS Productions, SPI Poland
- Distribuzione: Medusa
- Data di uscita: 16 09 2011
Le relazioni forzate di Polanski - Reza
di Sara Troilo
Che Carnage sia un adattamento cinematografico di un testo teatrale (Il dio del massacro di Yasmina Reza) salta all’occhio: le due coppie che si ritrovano per parlare dell’episodio di violenza che ha coinvolto i rispettivi figli non riescono a lasciare l’appartamento e il loro incontro, nato sotto il segno della civiltà urbana, ben presto degenera portando alla luce il peggio di tutti. Un unico ambiente, quattro soli personaggi in scena, quattro ottimi attori, questi gli ingredienti utilizzati da Roman Polanskiper portare sullo schermo l’opera della Reza. L’appartamento è quello dei Longstreet, Penelope (Jodie Foster) attivista per i diritti civili ed esperta di arte e Michael (John C. Really) proprietario di un ferramenta a Brooklyn, gli ospiti sono i genitori del ragazzo che ha colpito loro figlio al volto con un bastone, i Cowan, Nancy (Kate Winslet), operatrice finanziaria e Alan (Cristoph Waltz) avvocato delle multinazionali perennemente al telefono. Così ci vengono presentati i personaggi, gli ospiti sempre in procinto di lasciare la casa, i padroni di casa nel tentativo non ansioso di trattenerli almeno per un caffè.
Il ritmo è alto dall’inizio alla fine, i rapporti tra le coppie di genitori variano in continuazione, le alleanze si spezzano e mutano di forma, i dialoghi approfondiscono i caratteri, ma soprattutto tolgono veli via via che la narrazione procede. Da un incipit in cui i quattro si trattano con i guanti, si fa strada il giudizio tranciante sugli altri, prima condiviso tra coppie sposate, poi emblematico della solidarietà di genere, infine individuale. Il punto di forza del film è sicuramente il ritmo della narrazione e questa paradossale impossibilità di mollare il colpo che richiama la mirabile invenzione de L’angelo sterminatore di Luis Buñuel con ben altri risultati, però, si intende. Di certo non siamo di fronte ad un capolavoro, come è invece il caso di Buñuel perché ad un certo punto, circa a due terzi del film, Carnage si lascia andare, si sfilaccia e cade nei luoghi comuni e nelle banalità.
Non vorrei ribadire di nuovo che il malcostume patrio di doppiare i film li penalizza, ma è una verità talmente evidente e ingombrante che prima o poi andrà affrontata. Che i distributori e le sale cinematografiche almeno lascino la scelta agli spettatori! Anche qua la voce strascicata dei personaggi un po’ brilli sul finale è intollerabile e la recitazione impossibile da giudicare. Nella versione doppiata in italiano il finale è faticoso da reggere, tanto sono fastidiose le voci che rimarcano lo stato di ubriachezza (scaturito da mezzo bicchiere poi) delle due donne.
Anche la sceneggiatura diventa debole sul finale, scadendo nelle banalità che è plausibile scaturiscano anch’esse dalla natura abbrutita degli umani, ma che lasciano l’amaro in bocca per quanto sono prevedibili. In soli settantanove minuti due coppie della media e alta borghesia newyorkese tracimano di rabbia, frustrazione, ossessioni, senso di inferiorità e i valori, con cui si sono fatti scudo per difendersi dall’altro e costruirsi un ruolo adatto, si sgretolano. Così l’attivista è quella che guarda lontano per ignorare il vicino, mentre l’avvocato, che si trincera dietro il ben più charmant cinismo che sta con tutto e va bene per ogni stagione, un po’ come il nero, appare più solido.
Tralasciando il finale su cui è impossibile esprimersi per il già citato doppiaggio italiano, il livello degli attori è molto alto. Cristoph Waltz si conferma nel suo talento dopo aver illuminato Inglorious Basterds, il suo Alan condivide con il temibile personaggio interpretato nel film di Tarantino quel senso di superiorità che rende tanto bene. Kate Winslet ormai non ha più bisogno di conferme, è un’attrice misurata e impeccabile, il suo tornare sull’abbandono del povero criceto di casa è adorabile. John C. Really, messo in luce da Paul Thomas Anderson in Boogie Nights e Magnolia non è mai passato inosservato nonostante non abbia interpretato ruoli da protagonista. Jodi Foster l’avevamo ritrovata in Inside Man alle prese con una vera dura, qua rientra forse più nei canoni nel suo dar vita alla donna democratica e intellettuale. Speriamo di non perderla come capita alle donne di Hollywood sopra una certa età, messe da parte per colleghe più giovani, mentre autentiche mummie maschili si aggirano, anche come protagonisti, indisturbati e osannati sugli schermi anche nelle invereconde vesti di sex symbol.
Un ottimo inizio, una fine mediocre, lo spazio teatrale non è semplice da reggere al cinema, probabilmente un migliore lavoro sulla sceneggiatura avrebbe giovato.
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