Il voto del redattore
- voto
- 3/5
- valutazione
- Un'opera coraggiosa, attuale e simbolica, ma la sceneggiatura non regge. Peccato, le premesse erano buone
Il voto dei lettori
- voto medio
- 4.1/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 10 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
L'orizzonte degli eventi
di Daniele Vicari
- Dati
- Titolo originale: L'orizzonte degli eventi
- Soggetto: Daniele Vicari
- Sceneggiatura: Daniele Vicari, Antonio Leotti, Laura Paolucci
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 115 min.
- Nazionalità: Italia
- Anno: 2005
- Produzione: Fandango, Medusa FIlm
- Distribuzione: Medusa
- Data di uscita: 00 00 0000
Eventi falsi
di Alice Trippolini
L'orizzonte degli eventi è la superficie di un buco nero, il limite oltrepassato il quale lo spazio-tempo è piegato così fortemente che non è più possibile tornare indietro. Daniele Vicari firma la sua seconda opera dopo Velocità massima con una metafora, usando una nozione di astrofisica per descrivere un momento di rottura, quel momento che divide idealmente le due "anime" del film.
La storia è quella di Max, un fisico nucleare che lavora ad un esperimento importante e competitivo a livello mondiale, chiuso in un laboratorio super tecnologico sotto il Gran Sasso. Il personaggio di Max è chiuso in se stesso, tende a rimuovere ciò che non lo soddisfa o che non riesce ad accettare e si dedica completamente alla fisica, fino ad arrivare a mentire e falsificare dati pur di non far fallire il progetto.
L'idea chiave che muove il film è l'ossessione del protagonista di "arrivare primo" nel suo campo e più specificamente nel progetto a cui lavora, ossessione che caratterizza in generale un certo modo di percepire la ricerca scientifica.
Vicari sceglie, prima di tutto, di sottolineare questo aspetto della scienza contemporanea contrapponendo al protagonista il personaggio della collega e amante Anais: Max è duro, diffidente e desidera il successo, Anais è idealista, onesta e disinteressata.
In questa prima parte del film l'atmosfera è chiusa, soffocante e quasi surreale, mentre i colori sono scuri e velati e mai illuminati dalla luce del sole, ma da asettici neon. Dopo le dimissioni, la scena dell'incidente fa da linea di separazione, come appunto un "orizzonte degli eventi" che può essere attraversato soltanto in un senso e non permette più di tornare indietro.
Max si trova senza più certezze, tutto quello che ha costruito fino ad ora crolla con il suo inganno e fallisce. L'incontro con il pastore albanese e la permanenza di Max sul Gran Sasso in condizioni di miseria e illegalità risultano però forzate e da qui il film si perde, rendendo evidenti gli espedienti del racconto per arrivare a raccontare la clandestinità e l'ingiustizia che regnano all'esterno.
Il regista, autore anche del soggetto, riesce bene nella descrizione delle ambientazioni, ma lascia buchi e imprecisioni nella sceneggiatura. L'ossessione per la ricerca e l'isolamento dal mondo circostante (che modificano le percezioni e gli atteggiamenti) si percepiscono attraverso le immagini, ma la caratterizzazione dei personaggi risulta da subito imprecisa.
Il passato di Max viene suggerito dal personaggio del fratello e dal funerale del padre, ma il film non approfondisce oltre: perché la rottura con la famiglia, perché l'impossibilità di costruire una relazione stabile? In aggiunta a ciò, qualche stereotipo di troppo si potrebbe evitare, come lo scienziato insensibile che pensa solo al lavoro, o l'uomo pragmatico contro la donna idealista.
Inoltre, nella seconda parte, non è chiaro perché il protagonista decida di rimanere in un ambiente angusto dove rischia la vita, ma soprattutto non è credibile che un clandestino in miseria e ricattato si prenda cura di lui disinteressatamente.
Vicari vorrebbe raccontare due realtà opposte che rappresentano, come ha sottolineato più volte nelle interviste, le due facce dell'Italia contemporanea, ma le riscritture di sceneggiatura, che si avvertono nello scorrere del film, lo rendono un'opera incompleta. La fine, dura e senza scampo, solleva ancora più dubbi sul personaggio senza però stimolare una riflessione sul problema dello sfruttamento, ma solo un sottile fastidio.
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