Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- Un buon esordio all'insegna della classe e della sobrietà.
Il voto dei lettori
- voto medio
- 5/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 1 lettore
- di Ethan Coen, Joel Coen
- dal 22 02 2008
- genere Giallo
- tipo Thriller
- Sara Troilo
- di David Cronenberg
- dal 14 12 2007
- genere Giallo
- tipo Thriller
- Sara Troilo
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
The Final Cut
di Omar Naïm
- Dati
- Titolo originale: The Final Cut
- Soggetto: Omar Naïm
- Sceneggiatura: Omar Naïm
- Genere: Giallo - Thriller
- Durata: 105 min.
- Nazionalità: Canada/Germania
- Anno: 2005
- Produzione: Lions Gate Films Inc., Final Cut Productions, Cinerenta Medienbeteiligungs KG, Industry Entertainment
- Distribuzione: Eagle Pictures S.p.A.
- Data di uscita: 00 00 0000
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Montaggio Sovrano
di Fabrizio Ferrero
Nel presente alternativo immaginato dall'esordiente Omar Naïm si ha quasi l'impressione che la sana pratica della cinefilia al cinema sia stata sostituita da una feticistico culto dei morti che si è impossessato della grammatica e del linguaggio del cinema stesso, nonché dei luoghi deputati. Chi è in grado di permetterselo è dotato fin dalla condizione di feto di un impianto organico (Zoe Implant) che registra in soggettiva attraverso un improbabile kino-glaz ogni momento, senza nessuna esclusione, della vita dell'impiantato. I cari della salma hanno preso l'abitudine di condensare vari decenni di vita in un lungometraggio di lunghezza canonica l'aspetto perbene e socialmente e moralmente accettabile del defunto, cassando tutti i momenti imbarazzanti o riprovevoli, per poi proiettare il prodotto ottenuto davanti ai convenuti per la cerimonia.
Questo ha dato origine alla casta a cui appartiene Alan Hakman (Robin Williams): una corporazione di montatori dotati di un severo codice deontologico, di personaggi con atteggiamenti che oscillano tra quelli del becchino, dell'artista, dello psicoanalista (vedi i colloqui di Alan con moglie e figlia di Bannister, interpretate rispettivamente da Stephanie Romanov e Géneviève Buechner), del sacerdote e del puro e semplice voyeur. Ma Alan, montando la vita del suddetto Bannister (Michael St. John Smith)vede qualcosa che non doveva vedere, e qui scatta l'innesco di "genere", la base di quello che apparentemente sembra un thriller-noir di fantascienza, in realtà pretesto per mettere molta carne al fuoco in modo non risolutorio, lasciando fiorire e fluire liberamente le riflessioni dello spettatore.
Prima di tutto The Final Cut è un film estremamente elegante, disamericanizzato, pieno di deuches e deesses, che dà l'idea di svolgersi in una grande città europea vagamente francesoide degli anni '60 ed è dotato di particolare calore. A differenza dell'algido décor di un Gattaca, ad esempio, questo è un un film in cui Naïm si toglie il vezzo di mostrare una ipertecnologica console di montaggio video costruita completamente in legno, come è completamente in legno il laptop che Alan si porta a spasso. C'è questa pre-contemporaneità (rispetto a noi) disseminata in quasi ogni scena: abat-jours che emanano luci soffuse, arredamento in stile, la libreria di Delila (Mira Sorvino), che sembra precipitata dal Quartier Latin di quarant'anni fa, appunto.
Punto secondo, The Final Cut è in modo palese un film sul cinema e sul potere del montaggio sovrano (Eijsenstein gioirebbe) arma a doppio taglio che può essere strumento di creatività oppure inesorabile forbice censoria, e Alan ci mostra entrambi gli aspetti: le vite dei "committenti" vengono passate al setaccio, edulcorate, tagliuzzate, rese politically correct, ad usum delphini, insomma ("famiglia, carriera e vita sociale" sarà l'indicazione di Jennifer Bannister ad Alan ) rese false, in definirtiva, o fruibili dal pubblico medio che è prigioniero del film hollywoodiano medio. Ma nei rari momenti di una strana relazione con Delila, Alan le mostra alcuni frammenti montati in modo onirico e toccante, tenere e commoventi rivelazioni dovute ad un malfunzionamento dell'impianto, prodotti dall'occhio della mente che non deve obbedire alle leggi fisiche dell'ottica.
Le continue proteste che punteggiano il film, in modo palese o come sentore di sottofondo, da parte di militanti anti Eye Tech e anti Zoe Implant (forse appoggiati da Fletcher, interpretato da Jim Caviezel) ci suggeriscono l'idea che il discorso di Naïm proceda per poli opposti, per dicotomie positivo/negativo; è la memoria e la sua fallacia l'altra colonna portante del lungometraggio. Alan è un personaggio tormentato, melanconico, (e l'interpretazione di Robin Williams è magnifica) senza una vera vita privata, ancorato costantemente alla sua console e prigioniero di un'ossessione voyeuristica che gli consente di avere una vita non propria, per interposta persona; questo umore e questo contegno sono dovuti ad un ricordo della sua infanzia che continua a tormentarlo: egli è veramente responsabile della morte di un suo compagno occasionale di giochi? Certo, i manifestanti portano avanti un discorso condivisibile: il dovere di ricordare autonomamente la propria vita, senza impianti e senza montatori in nome della spontaneità e del nostro diritto di assemblare in modo naturale i frammenti dell'esistenza, con la libertà di dimenticare o di sovraccaricare di significato un determinato ricordo. All'inizio del film anche un cliente di Alan è vittima di un falso ricordo, argomento di numerose ricerche psicologiche vari decenni fa, che dimostrarono come i testimoni di un crimine siano molte volte inattendibili. D'altro canto la totale oggettività del "girato" prodotto attaverso il nostro occhio ma anche stranamente "terzo", ci può liberare dai fantasmi attraverso una sorta di "abreazione". Quasi un parziale recupero razionalista in extremis.
Una particolarità. Quando Alan raggiunge i suoi colleghi montatori Thelma (Mimi Kuzyk) e Hasan (Thom Bishops) ciò avviene, ovviamente, nella lounge di un elegante cinema all'ingresso del quale è possibile leggere che è in corso una rassegna di film situazionisti (sic!).
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