Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- Bello e dannato
Il voto dei lettori
- voto medio
- 3.6/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 24 lettori
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02 11 2013
Last Days - È meglio bruciare che spegnersi lentamente
di Gus Van Sant
- Dati
- Titolo originale: Last Days
- Soggetto: Gus Van Sant, basato sulla vita di Kurt Cobain
- Sceneggiatura: Gus Van Sant
- Genere: Drammatico - Psicologico
- Durata: 85 min.
- Nazionalità: USA
- Anno: 2005
- Produzione: HBO
- Distribuzione: BIM
- Data di uscita: 00 00 0000
Recensione pubblicata il 20 05 2005
Questa recensione è stata letta 21888 volte
De profundis
di Eduard Le Fou
Cantore degli emarginati e dei perdenti, Gus Van Sant ha intrapreso negli ultimi anni un percorso cinematografico più strettamente autoriale. Come molti cineasti di rilievo, nell'arco della sua attività Van Sant ha alternato momenti più felici ad altri meno, realizzando film "alti" con scarsi riscontri al botteghino e altri più commerciali ma artisticamente meno interessanti. Dagli "alternativi" Drugstore Cowboy e My Own Private Idaho, ai più "pop" Good Will Hunting e Finding Forrester, passando per il delirante e travagliato Even Cowgirl Get The Blues e i "flop" di To Die For e del pedissequo remake di Psycho, nel suo insieme la produzione di Gus Van Sant si è in ogni caso distinta nel perseguire un convinto anelito di libertà espressiva, anche quando si è visto limitato da esigenze commerciali.
Ma a partire da Gerry del 2002 (tipico caso di film acclamato all'estero ma invisibile nelle italiche sale), il regista ha deciso di distaccarsi completamente dal sistema produttivo industriale e dedicarsi, seppur con budget ridottissimi, a progetti che lo convincessero appieno e che soprattutto gli permettessero di liberare definitivamente la sua ricerca artistica. La Palma d'oro a Cannes 2003 per Elephant è stato proprio il riconoscimento definitivo all'Autore Van Sant dal festival più prestigioso, dove torna oggi con Last Days.
In questa pellicola il regista traspone in immagini le ultime giornate di Kurt Cobain, il defunto leader dei Nirvana, in parte basandosi sulla cronaca, ma in buona parte lavorando di fantasia. Anzi, Last Days è l'esatto contrario delle biografie di eminenti personaggi del mondo della musica, che stanno tornando oggi tanto di moda. Ci imbattiamo non in una rockstar, ma in un tossico, un nevrotico allo sbando che vaga in solitudine attraverso un bosco e i cui unici contatti umani sono con alcuni giovani e strafatti amici (tra i quali Asia Argento) che con lui condividono una fatiscente magione di montagna.
Ogni tanto si allude a una sua compagna e a sua figlia, ma in verità il film è completamente privo di trama e i pochi dialoghi sono per lo più frutto di improvvisazioni sul set. In sostanza questo e' un film antinarrativo; una finestra sul vuoto esistenziale degli ultimi giorni di Blake-Cobain.
La svolta che ha permesso a Van Sant, per sua stessa ammissione, di intraprendere una volta per tutte la via di un cinema "altro" è stata la scoperta di alcuni autori europei (Bela Tarr, Tarkovskij). Di qui l'adozione di uno specifico stilema espressivo: la dilatazione dello spazio e del tempo, un efficace uso del piano-sequenza e dell'inquadratura fissa, proiettata senza compromessi attraverso la lente deformante e ossessionante del cinema di Hitchcock e Kubrick.
Il risultato di questo insolito esperimento, benché scorra sempre sottopelle la sensazione del "già visto", è un cinema dal fascino inquietante. Anche perché vi è entrato con prepotenza l'argomento della morte, del decadimento fisico, del trapasso. Tematiche eccellenti del cinema contemporaneo, in quanto esso stesso divenuto una forma d'arte e di intrattenimento superata, trapassata, non-morta, nella sua odierna incapacità/inadeguatezza di raccontare la complessità del reale.
Last Days prosegue la ricerca formale e stilistica iniziata con Gerry ed Elephant. Il pianosequenza, i lentissimi carrelli, la steadycam che marca di spalle e da lontano gli attori, la profondità di campo, sono tutti espedienti finalizzati a cogliere i personaggi, privi di un vero e proprio soggetto da seguire, nella loro spontaneità, nella loro condizione naturale (grande importanza ha infatti la raffigurazione del paesaggio circostante).
Ma si tratta pur sempre di una natura morta, quella ritratta da Van Sant. La dilatazione estrema della sequenza rimanda ad una percezione del tempo che ci sembra familiare non perché coglie la vita nel suo farsi, ma piuttosto perché restituisce tutto il peso della perdita di significato del Tempo, dell'incapacità-riluttanza moderna di coglierne il suo scorrere.
E il Cinema si fa interprete eccellente di questa condizione. Se per Kubrick era la Storia a incombere sulla vita umana, in Van Sant - più o meno consapevolmente - è l'assenza della Storia a gravare sui personaggi, che vagano senza meta al di fuori di Essa. Vagabondano per ripercorrere di continuo, come dentro un maleficio, i passi di una vita già vissuta dalla quale non riescono a liberarsi. Blake altro non è che l'ombra di se stesso. Un fantasma. Forse per un atto d'amore verso l'amico Cobain, Van Sant nel finale inserisce una sequenza in cui effettivamente l'anima di Blake si libera dal suo corpo. Ma è più che altro un vezzo ad alto tasso di suggestione, che getta in scena un fugace raggio di luce in mondo altrimenti plumbeo e disperato. Come in Elephant, anche in Last Days ritroviamo la ricostruzione della realtà filmica attraverso i diversi punti di vista dei personaggi, che, mentre nel primo aveva il compito di dare la sensazione di un destino che aleggiava al di sopra della vita di numerosi studenti, in Last Days, film focalizzato quasi esclusivamente sul personaggio di Blake, perde parte del suo senso e del suo fascino.
Due le scene madri che esprimono invece al meglio lo spirito di questo film. La prima è il lunghissimo e lentissimo carrello indietro fuori della villa, che riprende Blake mentre suona tutti gli strumenti nella sua sala prove. Una sequenza che trasmette una sorta di amorevole e pudico imbarazzo del Cinema che ha l'ingrato compito di ritrarre un'anima dannata con la partecipazione che nasce dal sentirsi simile a lei. La seconda è il prolungato carrello laterale che dolcemente ritrae le giovani presenze che abitano la villa (infestata) con Blake, che teneramente ballano, si abbracciano e si baciano alle struggenti note di Venus In Furs dei Velvet Underground. E' la scena più sensuale del film, in cui la sessualità ha però perso ogni valenza vitale, ogni speranza creatrice (l'unico amplesso cui si allude nel film è omosessuale).
Un'altra nota di merito va a Michael Pitt per la riuscitissima interpretazione nel ruolo del protagonista che si trascina per tutto il film sbiascicando, con il tipico tono nasale del junkie, brandelli di considerazioni e riflessioni incomprensibili, come i pazzi che blaterano ricordi di una vita normale che ormai non è più tale.
Un Pitt che è anche autore e interprete "dal vivo" delle canzoni del film, molto simili nello stile a quelle di Cobain.
Van Sant con Last Days realizza il suo film più ambizioso e radicale, con tutti i pregi e difetti che questo comporta, ma assurge a figura cinematografica che sintetizza al meglio, forse inconsapevolmente, il presente e il passato, il vecchio e il nuovo mondo cinematografico. Se abbandonerà definitivamente i suoi personaggi alla loro irrimediabile e indicibile solitudine e li lascerà comunicare solo attraverso le metafisiche connessioni semantiche proprie esclusivamente dell linguaggio cinematografico, senza estetismi o personalismi, allora ci troveremo probabilmente di fronte al primo definitivo capolavoro del nuovo secolo.
Ma a partire da Gerry del 2002 (tipico caso di film acclamato all'estero ma invisibile nelle italiche sale), il regista ha deciso di distaccarsi completamente dal sistema produttivo industriale e dedicarsi, seppur con budget ridottissimi, a progetti che lo convincessero appieno e che soprattutto gli permettessero di liberare definitivamente la sua ricerca artistica. La Palma d'oro a Cannes 2003 per Elephant è stato proprio il riconoscimento definitivo all'Autore Van Sant dal festival più prestigioso, dove torna oggi con Last Days.
In questa pellicola il regista traspone in immagini le ultime giornate di Kurt Cobain, il defunto leader dei Nirvana, in parte basandosi sulla cronaca, ma in buona parte lavorando di fantasia. Anzi, Last Days è l'esatto contrario delle biografie di eminenti personaggi del mondo della musica, che stanno tornando oggi tanto di moda. Ci imbattiamo non in una rockstar, ma in un tossico, un nevrotico allo sbando che vaga in solitudine attraverso un bosco e i cui unici contatti umani sono con alcuni giovani e strafatti amici (tra i quali Asia Argento) che con lui condividono una fatiscente magione di montagna.
Ogni tanto si allude a una sua compagna e a sua figlia, ma in verità il film è completamente privo di trama e i pochi dialoghi sono per lo più frutto di improvvisazioni sul set. In sostanza questo e' un film antinarrativo; una finestra sul vuoto esistenziale degli ultimi giorni di Blake-Cobain.
La svolta che ha permesso a Van Sant, per sua stessa ammissione, di intraprendere una volta per tutte la via di un cinema "altro" è stata la scoperta di alcuni autori europei (Bela Tarr, Tarkovskij). Di qui l'adozione di uno specifico stilema espressivo: la dilatazione dello spazio e del tempo, un efficace uso del piano-sequenza e dell'inquadratura fissa, proiettata senza compromessi attraverso la lente deformante e ossessionante del cinema di Hitchcock e Kubrick.
Il risultato di questo insolito esperimento, benché scorra sempre sottopelle la sensazione del "già visto", è un cinema dal fascino inquietante. Anche perché vi è entrato con prepotenza l'argomento della morte, del decadimento fisico, del trapasso. Tematiche eccellenti del cinema contemporaneo, in quanto esso stesso divenuto una forma d'arte e di intrattenimento superata, trapassata, non-morta, nella sua odierna incapacità/inadeguatezza di raccontare la complessità del reale.
Last Days prosegue la ricerca formale e stilistica iniziata con Gerry ed Elephant. Il pianosequenza, i lentissimi carrelli, la steadycam che marca di spalle e da lontano gli attori, la profondità di campo, sono tutti espedienti finalizzati a cogliere i personaggi, privi di un vero e proprio soggetto da seguire, nella loro spontaneità, nella loro condizione naturale (grande importanza ha infatti la raffigurazione del paesaggio circostante).
Ma si tratta pur sempre di una natura morta, quella ritratta da Van Sant. La dilatazione estrema della sequenza rimanda ad una percezione del tempo che ci sembra familiare non perché coglie la vita nel suo farsi, ma piuttosto perché restituisce tutto il peso della perdita di significato del Tempo, dell'incapacità-riluttanza moderna di coglierne il suo scorrere.
E il Cinema si fa interprete eccellente di questa condizione. Se per Kubrick era la Storia a incombere sulla vita umana, in Van Sant - più o meno consapevolmente - è l'assenza della Storia a gravare sui personaggi, che vagano senza meta al di fuori di Essa. Vagabondano per ripercorrere di continuo, come dentro un maleficio, i passi di una vita già vissuta dalla quale non riescono a liberarsi. Blake altro non è che l'ombra di se stesso. Un fantasma. Forse per un atto d'amore verso l'amico Cobain, Van Sant nel finale inserisce una sequenza in cui effettivamente l'anima di Blake si libera dal suo corpo. Ma è più che altro un vezzo ad alto tasso di suggestione, che getta in scena un fugace raggio di luce in mondo altrimenti plumbeo e disperato. Come in Elephant, anche in Last Days ritroviamo la ricostruzione della realtà filmica attraverso i diversi punti di vista dei personaggi, che, mentre nel primo aveva il compito di dare la sensazione di un destino che aleggiava al di sopra della vita di numerosi studenti, in Last Days, film focalizzato quasi esclusivamente sul personaggio di Blake, perde parte del suo senso e del suo fascino.
Due le scene madri che esprimono invece al meglio lo spirito di questo film. La prima è il lunghissimo e lentissimo carrello indietro fuori della villa, che riprende Blake mentre suona tutti gli strumenti nella sua sala prove. Una sequenza che trasmette una sorta di amorevole e pudico imbarazzo del Cinema che ha l'ingrato compito di ritrarre un'anima dannata con la partecipazione che nasce dal sentirsi simile a lei. La seconda è il prolungato carrello laterale che dolcemente ritrae le giovani presenze che abitano la villa (infestata) con Blake, che teneramente ballano, si abbracciano e si baciano alle struggenti note di Venus In Furs dei Velvet Underground. E' la scena più sensuale del film, in cui la sessualità ha però perso ogni valenza vitale, ogni speranza creatrice (l'unico amplesso cui si allude nel film è omosessuale).
Un'altra nota di merito va a Michael Pitt per la riuscitissima interpretazione nel ruolo del protagonista che si trascina per tutto il film sbiascicando, con il tipico tono nasale del junkie, brandelli di considerazioni e riflessioni incomprensibili, come i pazzi che blaterano ricordi di una vita normale che ormai non è più tale.
Un Pitt che è anche autore e interprete "dal vivo" delle canzoni del film, molto simili nello stile a quelle di Cobain.
Van Sant con Last Days realizza il suo film più ambizioso e radicale, con tutti i pregi e difetti che questo comporta, ma assurge a figura cinematografica che sintetizza al meglio, forse inconsapevolmente, il presente e il passato, il vecchio e il nuovo mondo cinematografico. Se abbandonerà definitivamente i suoi personaggi alla loro irrimediabile e indicibile solitudine e li lascerà comunicare solo attraverso le metafisiche connessioni semantiche proprie esclusivamente dell linguaggio cinematografico, senza estetismi o personalismi, allora ci troveremo probabilmente di fronte al primo definitivo capolavoro del nuovo secolo.
I lettori hanno scritto 16 commenti
- commento anche io penso che lo spirito del film sta tutta nella pudica sequenza quando lui suona e nel fatto che non si vedono mai siringhe entrare in vena. non si può dire "bello" o brutto", va accettato o no
- commento Due palle.
- commento ke intendi dire..scusa??? kurt nnn era solo mika un tossico..
- commento x tracy: se ti riferisci alla recensione, non si parla del vero Cobauìin ma del personaggio Blake, che viene mostrato esplicitamente con tutti i sintomi del nevrotico e del tossicodipendente
- commento film oltre le aspettative, un capolavoro che sicuramente non verra' capito dai soliti personaggi che altro non spaettano che un mito da idolatrare...
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