Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- A metà tra docu-fiction e tradizione corale alla Robert Altman, il racconto di una giornata molto particolare.
Il voto dei lettori
- voto medio
- 4/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 6 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Bobby
di Emilio Estevez
- Dati
- Titolo originale: Bobby
- Soggetto: Emilio Estevez
- Sceneggiatura: Emilio Estevez
- Genere: Drammatico - Storico
- Durata: 120 min (la versione presentata a Venezia dura 112 min)
- Nazionalità: U.S.A.
- Anno: 2006
- Produzione: Bold Films
- Distribuzione: 01 Distribution
- Data di uscita: 19 01 2007
- Link
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Tutti gli uomini del presidente
di Vincenzo Rossini
Los Angeles, 6 giugno 1968. Nella sala conferenze del prestigioso Ambassador Hotel Robert Kennedy ha appena terminato uno dei comizi finali della sua trionfante campagna elettorale quando viene freddato con un colpo di pistola da un estremista di origini palestinesi. È la fine dell'ultima utopia democratica, pacifista e antirazzista degli anni Sessanta, un sogno al quale si erano ancorati molti americani provenienti da realtà politiche e culturali differenti e talvolta opposte. La cronaca dell'accaduto non è il cuore di Bobby, ma il suo punto di arrivo.
Bobby infatti non è imparentato con le ricostruzioni al limite dell'agiografia di Oliver Stone; al contrario Bobby è film fondato sull'attesa di Robert Kennedy. Emilio Estevez ricostruisce con molta immaginazione - ma anche con la realtà di un luogo, l'Ambassador Hotel, che è stato distrutto dopo le riprese del film - quella giornata fatidica partendo dal punto di vista di tutte quelle persone che ruotano, per qualche motivo, attorno a Kennedy. Il campionario umano è vasto e trasversale: c'è il direttore dell'hotel alle prese con una moglie insoddisfatta, il nuovo capo del personale che licenzia in malo modo il vecchio titolare perchè di simpatie politiche anti-kennediane; ci sono cuochi, camerieri, portantini e lavapiatti che dibattono su politica ed etnia, c'è il portavoce del presidente, giovane rampante e illuso e due ragazzetti che si imbarcano sui "pullman di Kennedy" per fare propaganda porta a porta; c'è una cantante alcolizzata, la centralinista amante del direttore 22 storie che si intrecciano e talvolta si incontrano, 22 assi orientati verso quello che dovrebbe essere uno dei passi finali per la rinascita e che invece si rivelerà il momento della disfatta. Dall'alba alla notte tra stanze, corridoi, saloni, palcoscenici, hall, bagni e cucine nell'attesa del divus, il vero Bobby, che vedremo nel finale tragico attraverso alcuni filmati di repertorio.
Emilio Estevez - alle spalle una carriera da attore in film di culto degli anni Ottanta come Breakfast Club e St.Elmo's Fire, e in seguito regista televisivo per importanti serie come Cold Case e CSI:Miami - non poteva non appellarsi al nume tutelare della coralità cinematografica americana, il compianto Robert Altman. L'attesa di un evento centrale attorno al quale ruotano le vite distinte di molti personaggi evoca Nashville, l'ironia con la quale vengono descritti alcuni personaggi di impronta "mediatica" fa pensare a I Protagonisti, il sottobosco proletario delle cucine rimanda direttamente a Gosford Park nonostante Estevez giuri di aver pensato al suo film prima dell'uscita del film britannico di Altman. Ovviamente, lo sguardo allo stesso tempo sinottico e dettagliato sull'America, venato di tragicità e fatalismo, è figlio di quel capolavoro che è Shortcuts. Bobby, tuttavia, non è esclusivamente un tributo rispettoso nei confronti di Altman. È un prodotto ibrido, a metà tra cinema e serialità televisiva. Infatti una delle critiche più frequenti rivolte al film in quel di Venezia - dove è stato presentato in anteprima in una copia non definitiva - è stata la sua tensione "problematica" verso lo standard narrativo che accomuna le serie televisive statunitensi di larga fortuna in questi anni. È una critica vana, perché dà per scontato che un cinema di forte impronta televisiva debba essere per forza negativo, dimenticando il valore aggiunto che un film del genere guadagna dalla commistione dei linguaggi - la sequenza finale crea un dialogo interessante tra le immagini oltre che tra i personaggi, montando assieme la diretta televisiva dell'epoca con le riprese originali del film. Persino Altman, tra l'altro, si è cimentato più volte nell'applicare alcuni clichè del linguaggio televisivo alla sua visione di cinema, come quando nel 1988 realizza Tanner 88, che racconta l'ascesa e il declino di un fantomatico candidato alle presidenziali, e sul quale tornerà nel 2004 con Tanner on Tanner, dove la figlia di Tanner vuole girare un documentario sul fallimento elettorale del padre.
Bobby verrà distribuito in Italia il 26 gennaio nella versione definitiva. È un film da vedere assolutamente, a costo di essere banali e scontati, perché racconta il fallimento delle speranze dell'America di oggi attraverso il racconto di un fallimento fhe è stato fondamentale per l'America di ieri. Ed è un film da vedere, se possibile, in lingua originale, soprattutto se si vuole apprezzare la straordinaria molteplicità di interpretazioni, in un cast che riunisce prestigiosi attori di epoche differenti: Anthony Hopkins, Demi Moore (in una prova finalmente convincente), Ashton Kutcher, Laurence Fishburne, Sharon Stone, Lindsay Lohan, Joshua Jackson, Heather Graham, Helen Hunt, Martin Sheen, Elijah Wood, Christian Slater Su tutti, però, svettano il volto sornione e rilassato di un grande Harry Belafonte e la mimesi discreta ed essenziale di William H. Macy, uno dei migliori attori statunitensi della sua generazione.
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