Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- film, bellissimo nella forma, ma sadicamente impenetrabile nel contenuto
Il voto dei lettori
- voto medio
- 3.1/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 27 lettori
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02 11 2013
Niente da nascondere
di Michael Haneke
- Dati
- Titolo originale: Caché
- Soggetto: Michael Haneke
- Sceneggiatura: Michael Haneke
- Genere: Drammatico - Thriller
- Durata: 117 min
- Nazionalità: Francia
- Anno: 2005
- Produzione: Les film du Losange, BIM
- Distribuzione: BIM
- Data di uscita: 14 10 2005
- Link
- Tutti gli articoli di Eduard Le Fou
- Tutti i film di Michael Haneke
- Il sito ufficiale italiano
- Il sito ufficiale francese
Recensione pubblicata il 13 10 2005
Questa recensione è stata letta 15910 volte
Tutto da svelare
di Eduard Le Fou
Col passare degli anni i film di Haneke si trasformano sempre più in taglienti macchine per ferire e infierire sulle fragili certezze della borghesia europea. Quell'intellighenzia moderna e progressista cui il regista austriaco adora sbattere in faccia il volto oscuro della società occidentale: una violenza spietata, insensata, fuori da ogni possibile logica.
Quella impassibile, implacabile dei ragazzi di Funny Games o quella insita nel più profondo della personalità umana, come ne Il Tempo dei Lupi. Oppure quella che emerge dal nuovo film Niente da nascondere, che è tanto più spaventosa perchè ambientale, dentro e fuori di noi, ma anche prima di noi, rimossa nel nostro passato di individui e nella storia della nostra società.
Georges, critico letterario che conduce un popolare programma televisivo, sua moglie Anne e suo figlio Pierrot sono spaventati da strani video e disegni che continuano a ricevere da un anonimo; video che riprendono semplicemente la quotidianità della loro vita.
Ma il contenuto delle cassette diventa sempre più personale e lascia intendere che chi le ha girate conosca fatti dell'infanzia di Georges, di cui è ingnara persino sua moglie.
Un evento passato, apparentemente rimosso, della vita di Georges riemergerà rimettendo in discussione i rapporti con la sua famiglia, i suoi amici e il suo lavoro.
Va detto che il premio per la Miglior Regia al Festival di Cannes 2005 il film lo merita tutto.
La sceneggiatura - perfetta per i dialogi essenziali e ficcanti e per la sagacia con cui i meccanismi di genere thrilling si mescolano con l'introspezione psicologica - viene superbamente riportata in video grazie alle intepretazioni misurate di tutto il cast e a uno stile asciutto, alla metodica ricerca dell'essenzialità, le cui trovate autoriali sono sapientemente dosate e offerte al servizio dello spettatore e del plot.
Il limite semmai sta in un certo celebralismo in cui si va a cacciare il film. E nel ruolo, quasi di corresponsabilità, cui Haneke inchioda lo spettatore rispetto alla natura e al senso delle immagini che sta guardando.
Durante tutto il film i personaggi, col pretesto di scoprire chi li perseguita, non fanno altro che scoprire qualcosa di più su se stessi, su ciò che li circonda e sulle responsabilità che hanno rispetto ai propri cari e alla loro stessa vita.
Finendo quasi per dimenticarsi di scoprire davvero l'identità del loro persecutore. Allo spettatore invece non verrà offerta nessuna nuova consapevolezza. Durante il film non si non smette mai di chiedersi chi c'è dietro quelle immagini e, progressivamente, si avverte che la questione riguarda molto più da vicino lo spettatore che i personaggi stessi del film. Sin dalla prima sequenza, infatti, si è attratti in un gioco di soggettive, in cui si crede di vedere "il film" mentre in verità si sta guardano direttamente, attraverso lo sguardo dei personaggi, le immagini rubate alla vita degli stessi. E il mistero resta tale fino all'ultima, enigmatica sequenza, al termine della quale non si può fare a meno di chiedersi chi c'è dietro quelle immagini: il regista stesso? Il Cinema? Il pubblico? La società dell'Immagine? Un Grande Fratello? Dio? Si innesca insomma un invitabile gioco di rimandi alla metafisicità dell'immagine che però è imposta allo spettatore, lascia poco margime all'ambiguità e conduce ad una speculazione purtroppo fine a sé stessa.
Non è concesso nemmeno di utilizzare la memoria e il subconscio dei personaggi per reificare il mondo attraverso il sogno e il ricordo. Anche questi sono spietatamente girati da Haneke esattamente come le immagini di vita rubata ai personaggi: da un punto di vista lontano, proprio di un testimone occulto e impassibile, nascosto. Caché, appunto. Come il significato di questo film, bellissimo nella forma, ma sadicamente impenetrabile nel contenuto.
Quella impassibile, implacabile dei ragazzi di Funny Games o quella insita nel più profondo della personalità umana, come ne Il Tempo dei Lupi. Oppure quella che emerge dal nuovo film Niente da nascondere, che è tanto più spaventosa perchè ambientale, dentro e fuori di noi, ma anche prima di noi, rimossa nel nostro passato di individui e nella storia della nostra società.
Georges, critico letterario che conduce un popolare programma televisivo, sua moglie Anne e suo figlio Pierrot sono spaventati da strani video e disegni che continuano a ricevere da un anonimo; video che riprendono semplicemente la quotidianità della loro vita.
Ma il contenuto delle cassette diventa sempre più personale e lascia intendere che chi le ha girate conosca fatti dell'infanzia di Georges, di cui è ingnara persino sua moglie.
Un evento passato, apparentemente rimosso, della vita di Georges riemergerà rimettendo in discussione i rapporti con la sua famiglia, i suoi amici e il suo lavoro.
Va detto che il premio per la Miglior Regia al Festival di Cannes 2005 il film lo merita tutto.
La sceneggiatura - perfetta per i dialogi essenziali e ficcanti e per la sagacia con cui i meccanismi di genere thrilling si mescolano con l'introspezione psicologica - viene superbamente riportata in video grazie alle intepretazioni misurate di tutto il cast e a uno stile asciutto, alla metodica ricerca dell'essenzialità, le cui trovate autoriali sono sapientemente dosate e offerte al servizio dello spettatore e del plot.
Il limite semmai sta in un certo celebralismo in cui si va a cacciare il film. E nel ruolo, quasi di corresponsabilità, cui Haneke inchioda lo spettatore rispetto alla natura e al senso delle immagini che sta guardando.
Durante tutto il film i personaggi, col pretesto di scoprire chi li perseguita, non fanno altro che scoprire qualcosa di più su se stessi, su ciò che li circonda e sulle responsabilità che hanno rispetto ai propri cari e alla loro stessa vita.
Finendo quasi per dimenticarsi di scoprire davvero l'identità del loro persecutore. Allo spettatore invece non verrà offerta nessuna nuova consapevolezza. Durante il film non si non smette mai di chiedersi chi c'è dietro quelle immagini e, progressivamente, si avverte che la questione riguarda molto più da vicino lo spettatore che i personaggi stessi del film. Sin dalla prima sequenza, infatti, si è attratti in un gioco di soggettive, in cui si crede di vedere "il film" mentre in verità si sta guardano direttamente, attraverso lo sguardo dei personaggi, le immagini rubate alla vita degli stessi. E il mistero resta tale fino all'ultima, enigmatica sequenza, al termine della quale non si può fare a meno di chiedersi chi c'è dietro quelle immagini: il regista stesso? Il Cinema? Il pubblico? La società dell'Immagine? Un Grande Fratello? Dio? Si innesca insomma un invitabile gioco di rimandi alla metafisicità dell'immagine che però è imposta allo spettatore, lascia poco margime all'ambiguità e conduce ad una speculazione purtroppo fine a sé stessa.
Non è concesso nemmeno di utilizzare la memoria e il subconscio dei personaggi per reificare il mondo attraverso il sogno e il ricordo. Anche questi sono spietatamente girati da Haneke esattamente come le immagini di vita rubata ai personaggi: da un punto di vista lontano, proprio di un testimone occulto e impassibile, nascosto. Caché, appunto. Come il significato di questo film, bellissimo nella forma, ma sadicamente impenetrabile nel contenuto.
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