Il voto del redattore
- voto
- 4.5/5
- valutazione
- Semplicemente imperdibile
Il voto dei lettori
- voto medio
- 3.3/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 30 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Ferro 3 - La casa vuota
di Kim Ki-Duk
- Dati
- Titolo originale: Bin-jip
- Soggetto: Kim Ki-Duk
- Sceneggiatura: Kim Ki-Duk
- Genere: Drammatico - Fantasy
- Durata: 90'
- Nazionalità: Corea del sud
- Anno: 2004
- Produzione: Happinet Pictures & Kim Ki-Duk Film
- Distribuzione: Mikado
- Data di uscita: 03 12 2004
Il cinema che riempie l'anima.
di Eduard Le Fou
Iscritto fuori tempo massimo all'ultimo Festival del Cinema di Venezia, presentato quindi con una palese "raccomandazione" degli organizzatori, Ferro 3 di Kim Ki-Duk si è infatti visto assegnare il Leone d'Argento come Premio Speciale per la Regia. Bisogna ammettere però che mai raccomandazione fu tanto fondata e giustificata.
Ultimo capitolo di una filmografia sorprendente per bellezza e originalità, con Ferro 3 - La Casa Vuota (la prima parte del titolo è stata imposta dal regista, la seconda è del distributore italiano) Kim Ki-Duk ha spinto ulteriormente in avanti la sua ricerca sul rapporto tra materialità del mondo e la spiritualità delle persone che lo vivono. Miscelando le atmosfere mistiche del grandioso Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera , il doloroso romanticismo di Samaria e le innocenti crudeltà di film come Bad Guy, il regista sudcoreano si inventa ora un'altra storia di insolito equilibrio poetico. Il protagonista Tae-suk è un solitario giovane che passa le giornate alla ricerca di case vuote dove trascorrere la notte, un'idea che in parte si rifà a Vive l'amour di Tsai Ming-liang. In Ferro 3 però Tae-suk prende in prestito non solo la casa ma anche la vita degli inquilini momentaneamente assenti, facendo le pulizie, riordinando, riparando oggetti ed elettrodomestici fuori uso. Un giorno, entrato in una casa lussuosa, Tae-suk si imbatte in una donna, Sun-hwa, ex-modella alle prese con una dolorosa crisi matrimoniale, che si lascerà affascinare dallo sradicamento del ragazzo, e lo seguirà nelle sue peregrinazioni di casa in casa, stabilendo con lui un forte legame amoroso, nonostante la caparbia resistenza del suo insopportabile marito.
Non anticipiamo altro, perché la narrazione è piena di personaggi e situazioni di grande cinema, dai quali è importante lasciarsi sorprendere. Possiamo solo confermare la meraviglia che suscita nello spettatore la visione di questo film che reinventa il senso di quotidianità della vita tramite la metafisica comunicazione elettiva instaurata tra i due personaggi principali, comunicazione improntata non sulla parola (anzi il personaggio interpretato dal bravissimo Jae Hee non emette una sola frase in un tutto il film, mentre la sua amante parlerà soltanto alla fine), bensì su una essenziale intesa spirituale, nata dalla consapevolezza della reciproca solitudine di protagonisti, per poi trasformarsi in una fuga dalla realtà che permetterà loro di mantenersi felicemente in contatto anche quando saranno brutalmente costretti alla lontananza fisica.
"Siamo tutti case vuote, ed aspettiamo qualcuno che rompa la serratura e ci renda liberi con il suo calore umano" afferma il regista, che sceglie anche un'altra metafora per spiegare la natura della storia e dei personaggi, quello del Ferro n.3 appunto, nel golf la mazza meno usata, che è simbolo di solitudine e abbandono, ma al tempo stesso oggetto trasformato nell'arma con cui Tae-suk libera con violenza Sun-hwa dal marito, proteggendola da ogni minaccia. Ferro 3 è anche un film di presenze spettrali (a proposito: avete notato quante pellicole, non solo di provenienza orientale siano popolate da fantasmi?) personaggi che perdono gradualmente la propria fisicità per esprimere cinematograficamente l'invisibilità di sentimenti e valori che animano la loro umanità. Nel bene e nel male. Non si tratta quindi di un film "buonista", ma semplicemente e altamente poetico, in linea con le grandi tematiche della culturale orientale, il vuoto, l'assenza, la sublimazione e l'astrazione dalla realtà materiale che il regista Kim Ki-Duk tratta in maniera molto personale. In questa prospettiva di immaterialità dei temi trattati, diventano paradossalmente fondamentali le invenzioni teatrali e il lavoro sulla gestualità e sulla fisicità degli attori protagonisti che, data l'afasia cui sono affetti, devono esprimere soltanto con il proprio corpo la dolcezza del loro rapporto, ma anche la violenza con cui sono spesso costretti a relazionarsi con il mondo. Questo lavoro ottiene risultati davvero straordinari e ribadisce la maestria registica e lo stato di grazia che sta vivendo Kim Ki-Duk i cui film sono diventati ormai un appuntamento imperdibile per gli amanti del cinema d'autore.
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