Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Etica ed estetica della metropoli. In una L.A. da brivido un noir notturno e impeccabile che difetta soltanto nell'epilogo.
Il voto dei lettori
- voto medio
- 4.2/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 12 lettori
- di Oxide Pang Chun, Danny Pang
- dal 29 01 2010
- genere Azione
- tipo Thriller
- Sara Troilo
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Collateral
di Michael Mann
- Dati
- Titolo originale: Collateral
- Soggetto: Stuart Beattie
- Sceneggiatura: Stuart Beattie
- Genere: Azione - Thriller
- Durata: 119 min.
- Nazionalità: U.S.A.
- Anno: 2004
- Produzione: Dreamworks, Paramount Pictures, Edge City LLC, altri
- Distribuzione: UIP
- Data di uscita: 15 10 2004
Tre vite, una sola notte
di Nicola Tedeschi
[Film visto a Venezia dal nostro inviato]
Potenza infinita del Caso, che genera incontri, decide destini, cambia il corso delle esistenze, sceglie chi vive e chi muore.
Il Caso sembra spesso prediligere il caos, l'infinità dei possibili, la complessità delle combinazioni; ama i grandi numeri, la realtà romanzesca, quella dinamica in base alla quale, come affermava Breton, "l'impossibile sembra proprio ciò che deve accadere".
Anche per questo il Caso sembra prediligere la grande metropoli, la sua immensità senz'anima e senza volto, che pare neutralizzare e farsi beffe delle intenzioni e delle volontà individuali.
La Los Angeles di Collateral, il nuovo film di Michael Mann, è sterminata e vorace, spaventosa nella sua oscura presenza; le sue strade si perdono in altre strade, gli svincoli autostradali si avviluppano su se stessi, in una ricorsività apparentemente senza fine. Il messaggio è chiaro: non si esce da L.A., perché è il luogo dove più di ogni altro è facile smarrire la via, e dove è altrettanto facile perdere se stessi.
Dove vivono 17 milioni di esseri umani, ciascuno con la propria irrimediabile solitudine. Dove possono passare ore, anche giorni, prima che un cadavere venga notato, e a nessuno importa chi sei, da dove vieni, soprattutto che fine farai.
Una delle città più filmate del mondo, L.A., teatro di centinaia di film e serie televisive. Ma mai si era vista così, interamente notturna, filmata spesso dall'alto da elicotteri in volo radente, una distesa illimitata e quasi irreale di punti luminosi, un immenso unico stimolo visivo, simile per certi aspetti ad una stazione stellare di un film di fantascienza, un fenomeno ottico più che una rappresentazione dotata di realtà.
La vicenda è filmata in tempo reale, anche se pare dilatata e spinta a forza in una dimensione senza tempo; è una storia che dura soltanto poche ore, dal tramonto all'alba, ed ha il suo centro narrativo nelle ore notturne, quelle che per i più sono dedicate al riposo, al silenzio, al sonno, all'oblio.
Non per Vincent (un brizzolato e glaciale Tom Cruise), spietato killer professionista, che pare avere fretta di portare a termine il suo compito, uccidere in sequenza cinque testimoni scomodi e, appena arrivato in città, già desidera fuggire lontano.
Non per Max (un versatile Jamie Foxx), tassista di colore, idealista e mite, affabile e riflessivo, che ha scelto il turno di notte perché il traffico è meno intenso e si fanno conversazioni più interessanti, e che coltiva il sogno di risparmiare quanto basta per mettersi in proprio e coronare il suo progetto: una società che noleggia limousine per ricchi clienti in cerca di una "esperienza perfetta".
Max lavora con precisione e senso del dovere: suo è il taxi più pulito, perfetto è il suo senso del "timing" nello stimare i tempi di percorrenza e nella scelta del percorso più rapido.
Ma è anche un intuitivo, con uno spiccato talento per scandagliare lo stato d'animo dei suoi clienti, e un sognatore, un uomo cui basta concentrarsi ogni tanto su una foto da cartolina di un atollo tropicale per sentirsi in vacanza.
La vicenda inizia con uno scambio di valigette tra Vincent e uno sconosciuto all'aeroporto. Contemporaneamente, inizia una seconda storia con Max che prende a bordo una giovane avvenente donna di colore (Jada Pinkett Smith), che dopo un'iniziale diffidenza viene conquistata dalla sua simpatia ed affabilità (il dialogo tra i due è una vera gemma), gli racconta di sé e del suo lavoro, gli lascia il suo numero di telefono: per lei il destino sarà benevolo, questo incontro le salverà la vita.
Max sarà meno fortunato, perché il suo cliente successivo sarà Vincent. Un caso trasformato in necessità, un convergere di eventi per cui "l'impossibile accade": l'incontro tra i due sarà fatale ad entrambi.
Vincent propone a Max 600 dollari per condurlo in alcuni luoghi della città, promettendogli un extra al termine della serata, dopo che avrà chiuso i suoi affari.
Tutto si chiarisce sin dalla prima tappa: mentre Max attende Vincent in auto, un corpo precipita da una finestra e si abbatte sul tetto del taxi. Da questo momento Max entra suo malgrado nella vita e nella storia di Vincent, il suo destino saldato ineluttabilmente a quello del killer.
Vincent non rinuncia al suo piano, pare ostentare tranquillità: altri quattro nomi vanno eliminati. Max sarà costretto a collaborare, ed in un'occasione si sostituisce persino a Vincent in una visita al mandante dei delitti. In questa splendida sequenza vediamo Max che si impossessa di parole e atteggiamenti di Vincent per uscire da una situazione che pare votata alla catastrofe.
Durante poche convulse ore i due conosceranno molto l'uno dell'altro e rifletteranno su se stessi prima del tragico epilogo. Quando Max scopre infatti che l'ultima vittima di Vincent è proprio la giovane avvocatessa da lui conosciuta poche ore prima, sarà costretto ad affrontare Vincent e a mettersi in gioco come mai avrebbe immaginato, arrivando a scoprire un'inedita versione di sé e i tratti più oscuri della propria personalità.
Gran parte del film è stato girato in digitale, ma la maestria tecnica e la capacità visionaria di Mann rendono duttile ed efficace una tecnologia ancora ostica per molti; emerge anzi un tocco antico, classico, che preserva intatto, sottotraccia, l'amore per il noir d'autore, il rispetto per la tradizione letteraria, il gusto di raccontare una Los Angeles inedita, ricordando che è sempre la stessa indimenticabile città di tanti capolavori cinematografici e letterari: quella di Chandler e di Ellroy, quella del "Grande Sonno" e di "L.A. Confidential", anche se sembrano passati millenni da allora.
Le atmosfere sono cupe, a tratti oniriche: prevalgono le ombre, le luci sono spesso fredde, disturbanti. Predominano ancora nero e blu, in uno sviluppo estremo delle sequenze notturne di "Heat", che qui vengono dilatate e sviluppate sino alla loro massima potenza evocativa.
Alcune scene diverranno leggendarie, come il dialogo su Miles Davis tra Vincent e il titolare di un jazz club prima dell'esecuzione di quest'ultimo, in cui il passaggio dalla commedia al dramma è fulminante e orribile, e la sparatoria al night club, una scena di massa girata in modo magistrale con un'inesorabile tensione narrativa, in cui la figura di Vincent appare una macchina spietata ed invulnerabile.
Nel suo impeccabile abito grigio, l'aspetto brizzolato che ricorda il De Niro di "Heat", Vincent/Cruise sorprende per la rapidità con la quale lascia esplodere la sua cattiveria e la sua mortifera lucidità in una frazione di secondo, come se un invisibile interruttore accendesse in lui un implacabile capacità di uccidere, tanto più potente e inesorabile quanto la situazione appare più drammatica e pericolosa.
Non è un film perfetto, Collateral, ma sfiora il capolavoro in molte sue parti: una sceneggiatura spesso impeccabile, dialoghi brucianti, un sapiente alternarsi di dramma, tensione e beffarda ironia.
Come in "Heat" Mann sceglie un epilogo consolatorio, opzione probabilmente gradita al grande pubblico ma forse poco coraggiosa per un regista che ha coraggio da vendere. Noi avremmo preferito un finale meno "buonista" e prevedibile, più duro e coerente con il taglio estremo e parossistico della vicenda: alla James Ellroy per intenderci, senza alcuna concessione ad un sia pur malinconico "happy ending".
Anche perché, a differenza della sfida "alla pari" tra De Niro e Pacino, l'esito di un duello tra un killer infallibile e un tassista alla sua prima arma non dovrebbe lasciare adito a dubbi.
Soltanto quando tutto è finito ci si rende conto che la distinzione netta e quasi manichea tra bene e male, tratteggiata all'inizio, ha perduto gran parte della sua validità, ed è stata quasi del tutto "falsificata" dal contatto con la vita reale, deformata dagli accadimenti e dalle scelte dei personaggi coinvolti.
Albeggia: la luce cresce di intensità e rende più nitidi i contorni di cose e persone.
Mann indugia su qualche immagine del traffico, su un incrocio, ma desiste: la notte è finita, e il chiarore del nuovo giorno sembra oramai inadatto per filmare una storia come questa.
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