Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
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Il voto dei lettori
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- 2.6/5
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- Questo film è stato votato da 40 lettori
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02 11 2013
Magdalene
di Peter Mullan
- Dati
- Titolo originale: The Magdalene Sisters
- Soggetto: Peter Mullan
- Sceneggiatura: Peter Mullan
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 119 min.
- Nazionalità: U.K., Irlanda
- Anno: 2002
- Produzione: PFP Films LTD., Temple Films, etc.
- Distribuzione: Lucky Red
- Data di uscita: 00 00 0000
Recensione pubblicata il 26 04 2004
Questa recensione è stata letta 17917 volte
Magdalene
di Sara Troilo
Irlanda, metà degli anni '60, Margaret (Anne-Marie Duff) viene stuprata durante un matrimonio, Bernadette (Nora-Jane Noone) è ritenuta all'unanimità una seduttrice, Rose (Dorothy Duffy) partorisce senza essere sposata, tre differenti antefatti, un'unica fine: la reclusione in conventi-lavanderia gestiti da suore cattoliche alla stregua di prigioni. Le ragazze in questi istituti Magdalene venivano costrette a lavorare 364 giorni all'anno senza potere parlare nemmeno tra di loro, subivano umiliazioni continue e a volte venivano private persino del proprio nome, la loro colpa quella di essere donne perdute, tentazioni da tenere lontane dagli uomini.
I fatti di cronaca alla base del film di Peter Mullan sono ormai noti e i dettagli non ci vengono risparmiati, le inquadrature sui volti delle protagoniste sono molto strette, la narrazione non viene mai interrotta con salti temporali, le immagini svelano tutto, non c'è bisogno di immaginarsi nulla.
La storia è forte e lo stile la asseconda mantenendosi rigoroso, classico, lineare, come se tutto il coraggio Mullan lo avesse utilizzato nelle scelta di denunciare la chiesa cattolica (l'ultimo di questi istituti è stato chiuso nel 1996) e nel momento di tradurla in immagini avesse voluto farlo per il maggior numero di spettatori, con il chiaro intento di tutelarli e agevolarli nella visione e comprensione.
Scelta condivisibile, certo, tanto più che unire lo stile classico e il coraggio della denuncia gli ha fatto vincere il Leone d'oro alla cinquantanovesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, con grande disappunto di uomini del governo e uomini di chiesa per quanto riguarda i contenuti e di uomini che di cinema si occupano per quanto riguarda la forma. Il pubblico, invece, è stato premiato, il film piace e ha dalla sua la documentazione, compresa la testimonianza di donne che hanno vissuto l'incubo della deportazione nei conventi-lager e ne sono uscite sconfitte e non redente; una di queste (Mary Norris, 70 anni) in un'intervista dice di aver più volte raccontato la propria storia senza mai essere stata creduta e non si stupisce di fronte alle reazione della Chiesa che nega tutto, come non mi stupisco io, cresciuta in un contesto ben diverso, in un altro paese cattolico. Mullan ci prende per mano, nel prologo ci spiega quali sono le futili motivazioni per cui le ragazze irlandesi potevano finire schiave delle suore, poi ci mostra impietoso tutte le angherie cui erano sottoposte, le differenti storie di alcune di loro, le violenze e gli stupri tollerati contrapposti alle enormi entrate economiche che tenevano in piedi questi istituti fino alla scena culmine in cui riesce a tenere a bada la retorica e al finale, quello in cui si può ricominciare a prendere contatto con il proprio stomaco, fino ad allora attorcigliato. La catarsi? Più un respiro di sollievo per non essere nata qualche anno fa in Irlanda e se il paragone provocatorio del regista è con i Talebani, altro sospiro di sollievo per poter vedere Magdalene non attraverso un burqa; più interessante resta il film in sé, ben congegnato, ben diretto, ma senza niente di nuovo dal punto di vista formale, tutto resta in mano alla storia e il lavoro di regia le è asservito. Magdalene: tutto quello che ci si aspetta da un film a tesi. Peccato (e mi si perdoni il termine).
Certo, lo dico guardando il crocifisso di un ufficio pubblico, se anche il film avesse avuto come unico intento quello di fare gioire per dieci minuti intensamente una delle Maddelene sopravvissute, bisognerebbe ringraziare Mullan.
I fatti di cronaca alla base del film di Peter Mullan sono ormai noti e i dettagli non ci vengono risparmiati, le inquadrature sui volti delle protagoniste sono molto strette, la narrazione non viene mai interrotta con salti temporali, le immagini svelano tutto, non c'è bisogno di immaginarsi nulla.
La storia è forte e lo stile la asseconda mantenendosi rigoroso, classico, lineare, come se tutto il coraggio Mullan lo avesse utilizzato nelle scelta di denunciare la chiesa cattolica (l'ultimo di questi istituti è stato chiuso nel 1996) e nel momento di tradurla in immagini avesse voluto farlo per il maggior numero di spettatori, con il chiaro intento di tutelarli e agevolarli nella visione e comprensione.
Scelta condivisibile, certo, tanto più che unire lo stile classico e il coraggio della denuncia gli ha fatto vincere il Leone d'oro alla cinquantanovesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, con grande disappunto di uomini del governo e uomini di chiesa per quanto riguarda i contenuti e di uomini che di cinema si occupano per quanto riguarda la forma. Il pubblico, invece, è stato premiato, il film piace e ha dalla sua la documentazione, compresa la testimonianza di donne che hanno vissuto l'incubo della deportazione nei conventi-lager e ne sono uscite sconfitte e non redente; una di queste (Mary Norris, 70 anni) in un'intervista dice di aver più volte raccontato la propria storia senza mai essere stata creduta e non si stupisce di fronte alle reazione della Chiesa che nega tutto, come non mi stupisco io, cresciuta in un contesto ben diverso, in un altro paese cattolico. Mullan ci prende per mano, nel prologo ci spiega quali sono le futili motivazioni per cui le ragazze irlandesi potevano finire schiave delle suore, poi ci mostra impietoso tutte le angherie cui erano sottoposte, le differenti storie di alcune di loro, le violenze e gli stupri tollerati contrapposti alle enormi entrate economiche che tenevano in piedi questi istituti fino alla scena culmine in cui riesce a tenere a bada la retorica e al finale, quello in cui si può ricominciare a prendere contatto con il proprio stomaco, fino ad allora attorcigliato. La catarsi? Più un respiro di sollievo per non essere nata qualche anno fa in Irlanda e se il paragone provocatorio del regista è con i Talebani, altro sospiro di sollievo per poter vedere Magdalene non attraverso un burqa; più interessante resta il film in sé, ben congegnato, ben diretto, ma senza niente di nuovo dal punto di vista formale, tutto resta in mano alla storia e il lavoro di regia le è asservito. Magdalene: tutto quello che ci si aspetta da un film a tesi. Peccato (e mi si perdoni il termine).
Certo, lo dico guardando il crocifisso di un ufficio pubblico, se anche il film avesse avuto come unico intento quello di fare gioire per dieci minuti intensamente una delle Maddelene sopravvissute, bisognerebbe ringraziare Mullan.
I lettori hanno scritto 1 commento
- indirizzo IP 85.18.136.80
- data e ora Martedì 26 Giugno 2007 [1:28]
- commento Ho appena finito di guardare il film...ci sono immagini davvero forti...ti aprono gli occhi,davvero.Ho apprezzato molto la semplicità formale del film,mette in primo piano la storia,geniale.
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