Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- L'inizio di un punto di svolta. Parola di Shinya.
Il voto dei lettori
- voto medio
- 2/5
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- Questo film è stato votato da 2 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Nightmare Detective - Il cacciatore di sogni
di Shinya Tsukamoto
- Dati
- Titolo originale: Akumu tantei
- Soggetto: Shinya Tsukamoto
- Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto
- Genere: Giallo - Horror
- Durata: 99 min.
- Visto in: DVD
- Regione: 2 - [Europa, Egitto, Giappone, Medio Oriente, Sud Africa]
- Formato video: 16:9
- Nazionalità: Giappone
- Anno: 2006
- Produzione: Aozoranoyukue, Hak yae, Yoru no pikunikku, The Longest Night in Shanghai
- Distribuzione: Rarovideo, 01
- Anno di uscita in homevideo: 2007
- Sottotitoli: inglese
- Contenuti speciali: intervista a Shinya Tsukamoto, intervista a Sogo Ishii, videocosa di enrico ghezzi
- Standard:
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Il tuo personal trainer per il suicidio? Digita zero.
di Sara Troilo
Tsukamoto con la sua nuova opera ci trascina in un horror quasi classico a cui aggiunge tutte le tematiche a lui care, ma un po' trasfigurate, smorzate quasi. Il rapporto tra uomo e cemento, per esempio, ha un contrasto meno forte che in tutti i suoi film precedenti. Per quanto le costruzioni mostruose la facciano da padrone e la sproporzione tra piccolo-inutile umano e fabbricato immane sia ben presentesoprattutto a livello visivo, ciò con cui deve fare i conti davvero il piccolo-inutile è se stesso e chi lo circonda, così pericoloso. Soprattutto i famigliari, i cosiddetti "cari". Il tentativo di condurre avanti la propria vita distaccandosi dal passato (magari dimenticandoselo) è ciò che accomuna tutti i personaggi del film. La gelida detective, il suo zelante collega e il cacciatore di sogni, armato di mantello e molto, molto suggestivo.
L'abissale distanza che esiste tra individuo e individuo in una megalopoli viene azzerata nel sogno, ambito d'elezione dell'inconscio e luogo in cui le persone possono conoscersi in modo viscerale, talmente viscerale da non riuscire a sopravvivere, spesso. Il suicidio come richiesta di aiuto, come atto estremo di disperazione, come grido di battaglia, come deposizione di ogni velleità di lotta per la sopravvivenza che tanto è inutile e solo dolorosa. Nessuna morale in proposito, è ovvio, non siamo mica a Hollywood. Però quello cui si assiste è un suicido guidato, messo in atto in contemporanea mentre si parla al cellulare. Perchè parlare (o chattare) con uno sconosciuto è tanto più semplice, come parlare allo specchio, anzi meglio! L'unico problema è che lo sconosciuto che risponde allo 0 è maledettamente determinato a farti morire, molto più convinto di quanto lo sia tu che davanti alla minaccia di morte proveniente dall'esterno scappi e tenti di salvarti la pelle e che qualche istante prima stavi per desistere o posticipare l'evento "...Si sta facendo tardi, pensavo di uccidermi tra un po'...". Per morire c'è sempre tempo, no? Sì, decisamente, invece non c'è tempo per conoscere se stessi, solo per perdersi, dimenticarsi di sé e mettersi alla prova per cambiare.
I colori sono quelli bluastri di A snake of June, ma a momenti diventano più caldi e virano sul giallo; i movimenti di macchina sono sapienti come solo quelli di Shinya sanno essere. Primi piani intensissimi, scene spericolate e ralenti soprattutto sott'acqua tanto che pare di stare nei pressi dell'Atalante solo che al posto della sposa in bianco ecco il cacciatore di sogni in nero: personaggio bellissimo, tormentato, molto dark e con un'infanzia da dimenticare. Lui sente i pensieri della gente: tutti mostruosi. L'investigatrice è quella che più si discosta da tutti gli altri. Innanzitutto donna, fisiologicamente diversa e trattata infatti come tale dall'ispettore capo della stazione in cui approda; forse anche priva di traumi infantili, una mosca bianca praticamente. Fredda e determinata, ha deciso di rendersi la vita difficile e ci è riuscita alla perfezione. E poi c'è lui, Tsukamoto, che impersona il personal trainer del suicidio, mister Zero, cattivissimo e chirurgico, cellulare in una mano e coltellazzo nell'altra, chi lo chiama non ha scampo. Protagonista di una delle più belle scene del film che lo vede accucciato su un lavandino con le braccia spalancate come fossero ali d'uccello.
Le psicologie dei personaggi non sono approfondite se non attraverso excursus onirici, la trama a volte sfugge, a volte scade un po' nei luoghi più comuni dell'horror, al di là degli "strumenti" del genere come i lunghi capelli neri che spuntano dalla parete o il fatidico cellulare. Lontano dalla perfezione di A snake of June e dalla profondità totale di Vital, questo Nightmare detective ha più l'aria di essere un esperimento che porterà verso strade nuove che poi sono le uniche che Tsukamoto percorre ogni volta. Non convince affatto la sceneggiatura con un po' di buchi e tanto già sentito, se questa fosse stata più snella avrebbe giovato alle bellissime immagini del film che quando sono accompagnate dal commento sonoro, quello sì molto bello, danno il meglio di sé.
Distribuisce Rarovideo, a quanto pare Shinya Tsukamoto in Italia non merita l'onore delle sale. Non è Verhoeven che ha solo firmato robaccia tutta distribuita in sala e non è Ron Howard, l'uomo che trasforma in melassa maleodorante qualsiasi cosa tocchi. Per fortuna Rarovideo esiste. Tra gli extra del DVD la solita videocosa di Ghezzi e un'intervista al regista. Tsukamoto parla di questo film come di un progetto che aveva in mente sin dai tempi del primo Tetsuo. Ne parla come il primo episodio di una serie che lo proietterà verso una svolta. Il regista dice che se non girerà un altro Tetsuo e un Nightmare Detective 2 (attualmente in pre-produzione) non riuscirà a liberarsi di quel modo di fare cinema e non potrà dedicarsi a una nuova "struttura" filmica. Dice anche che il rapporto uomo-metropoli è qui ancora forte, ma che è solo il punto di partenza della "serie" che via via si farà strada sempre più nell'interiorità umana. Tsukamoto ha scelto di interpretare mister Zero da subito perchè incarna il ruolo che sente di avere nei confronti dello spettatore e cioè sente di dover mettere chi guarda di fronte alla grandezza del dolore per svegliarlo dall'intorpidimento, di dover dipanare un incubo per mostrarlo tutto. Decisamente quindi un momento di passaggio, quasi un rito, per liberarsi di una struttura che il regista vuole rinnovare.
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