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Cosmopolis

Cloaca del 07 08 2012

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Cloaca

E se invece che i capelli la tagliassimo corta?

di Antinoo

Ciao a tutti. So perfettamente che, a causa dei miei natali, non dovrei essere qui. Eppure ci sono. Ergo, fatemi posto, che sono anche bello ingombrante.

Il mio nome è Cosmopolis, e dovrei evocare il crollo di un’epoca - quella del consumismo - fatta di apparenza, tecnologia, speculazioni finanziarie, controllo totale delle emozioni e spregio dei sentimenti. In realtà, papà Cronenberg voleva rappresentare, attraverso me, l’alienazione dei tempi moderni. Certo, avesse preso come protagonista un attore in grado di recitare sarebbe stato più semplice, ma la scelta è ricaduta su Robert Pattinson. Sì quello della saga di Twilight, il cui unico pregio è una certa capacità di indossare il fondotinta bianco. Pensavo, però, che grazie alla storia claustrofobica e ai gran completi firmati indossati sarebbe riuscito a calarsi nella parte. Forse lo ha fatto, ma allora gli han dato il copione de “Il Manichino dell’Oviesse”.

Andiamo per ordine: è una giornata di quotidiano delirio, nella city di Manhattan. Eric Packer decide che deve assolutamente tagliarsi i capelli proprio nel giorno in cui il Presidente degli Stati Uniti sta bloccando New York per una visita di rappresentanza.

Rischia di restare bloccato nel traffico per sempre? Chissenefrega, c’ha la limousine più figa e spaziosa del mondo, in cui può ospitare: zoccole, nerd, collaboratori, addetti alla sicurezza e qualsiasi altro fenomeno da baraccone del nuovo millennio decida di far salire su. Il tutto mentre si sottopone a tutti i quotidiani esami medici invasivi, perché la morte è sempre dietro l’angolo. Quindi, tra un controllo della pressione e una ispezione al buco del culo, scopre di aver commesso un errore di valutazione riguardante una speculazione finanziaria, che nemmeno il suo counselor  filosofico saprà elaborare. Il fatto avrà gravissime ripercussioni sulla sua psiche. E anche su quella di tutti coloro che occupano la sala cinematografica.

 

L’omonimo libro di Don DeLillo da cui sono tratto ha uno stile asciutto, surreale e un po’ morboso nel descrivere tutti gli accadimenti: riportare pedissequamente il tutto su uno schermo non mi pare una grande idea.

La regia è patinata, laccata, attenta ai dettagli ultratecnologici proprio per dare il senso di estrema contemporaneità realistica: insomma, uno di quei film che vedi tra qualche anno e ti paiono ridicoli per quanto obsoleti. Finalmente arrivano gli altri personaggi, ma anche qui son problemi: non è che prendere un minorenne orientale e mettergli in mano un palmare, in testa due ciocche colorate e in bocca due stronzate cybersarcazzo lo caratterizzi come genio dell’informatica. Così come non basta una bionda anemica (Sarah Gadon) che fissa il vuoto mentre ti parla con tono atono di perdita di controllo, mentre tu la vuoi solo sdraiare, per suggerire la complessità di sentimenti tra perfetti sconosciuti già sposati. Fortunatamente, ogni tanto arriva anche qualche attore vero, tipo Juliette Binoche, che nelle intenzioni è l’unica a sprizzare un po’ di verve perché non incasellata nel mondo del controllo finanziario in cui gli altri si muovono. Più verosimilmente perché sa recitare.

Ah, e poi ci sono i topi: metafora di un mondo ormai stanco di essere tenuto ai margini da pochi ricchi intrallazzatori, che vuole irrompere in tutta quella perfezione per rosicchiarla fino alle ossa. Ma devo dire che vivere tutto il giorno solo e sempre in una limousine non è poi tanto differente che stare in una fogna. A parte la puzza, forse.

 

Finalmente, però, succede qualcosa che non sia un cliché americano esasperante (sì, nel frattempo non mi sono fatto mancare nemmeno l'omone nero e saggio che riesce per un attimo a toccare e mostrare il cuore del gelido protagonista): qualcuno tenta realmente di uccidere Eric, e la cosa stupefacente è che non sia uno del pubblico.

Come lui riesca a capire da dove proviene lo sparo e, di conseguenza, come raggiungere esattamente l’appartamento incriminato è un mistero. Sarà che le ispezioni rettali quotidiane stimolano le sinapsi. In ogni caso, qui trova il suo rivale: Benno Levin, interpretato dallo straordinario Paul Giamatti, che rappresenta evidentemente l’alter ego del giovane rampollo del postmoderno. Brutto, povero, in pieno tumulto emotivo e, soprattutto, bravo. Sarà lui a svelare ogni arcano. Tranne uno: come resistere ad un film che voleva essere disturbante e, invece, disturba e basta.


 
 
 
 
 
 
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