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Un titolo solo da leggere
di Sara Troilo
Comincerò chiedendo alla distribuzione italiana per quale strano motivo non sia stato tradotto il titolo del film quando L’assassino che è in me è il titolo del romanzo uscito in Italia, pubblicato da Fanucci nel 2003. Magari a qualcuno sarebbe venuto in mente più facilmente il libro da cui è stato tratto il film. E’ depistaggio deliberato? “Non vogliamo lettori in sala perché potrebbero risentirsi”, forse avete pensato? Ma i lettori sono furbi, cari i miei distributori, e scovano i film che adattano i romanzi, soprattutto quando hanno molto amato questi romanzi. E poi la traduzione non era difficile…
A onor del vero The killer inside me non merita in pieno di stare in cloaca, ma la dura legge della critica online a volte ci impone scelte difficili, rafforzate anche dalla stizza per il bersaglio grossolanamente mancato: hai in mano un libro di Jim Thompson e questo è tutto quello che sai fare, signor Michael Winterbottom?
Da un romanzo che non lascia scampo e ti prende allo stomaco, che ti fa ribaltare gli organi interni come fossero bistecche di seitan nella farina, con un protagonista che è l’incarnazione stessa del sepolcro imbiancato della provincia americana, tranquilla e ipocrita, maschilista e ignorante, rispettosa nei confronti di un codice idiota, tu, o regista, non trovi di meglio da fare che mettere una frase dietro l’altra sullo schermo, generando la noia? Non ci siamo, non puoi comportarti con Jim Thompson come fosse un Dan Brown, approfittando del fatto che i lettori si berranno qualsiasi cosa abbiano letto perché cercano un adattamento fedele al testo, nel tentativo discutibile di vedere proprio e soltanto ciò che hanno letto e nulla più. Qui il materiale di partenza è ben diverso, i lettori probabilmente anche, e sono stanchi di annoiarsi al cinema vedendo ciò che un altro autore ha raccontato meglio sulla pagina stampata. E sottolineo con vigore il “meglio”.
Nel
romanzo, ad un certo punto, seguendo i pensieri dell’efferato protagonista ci
si imbatte nel seguente brano: “Bene? BENE? Che cosa fai? Che cosa dici? Che
cosa dici quando stai affogando nel tuo stesso letame e continuano a spingerti
giù a calci, quando vorresti gridare così forte da coprire tutti gli urli
dell’inferno, quando tu sei in fondo al pozzo e tutto il mondo è lassù in cima,
e non ha che una sola faccia, una faccia senza occhi od orecchie, che comunque
guarda e ascolta… Che cosa fai? Che cosa dici? Insomma, compare, è semplice. E’
facile come inchiodarsi le palle a un tronco e cascare all’indietro.” Non v’è
traccia di questo nel film di Winterbottom, mentre è la materia del romanzo.
Come spesso accade, il doppiaggio impoverisce le performance degli attori perciò mi riesce difficile giudicare la prova di Casey Affleck che in italiano fa fatica a portare a casa una frase di senso compiuto. Probabilemente l’unico colpo che riesce al regista è il gesto che innesca la relazione tra Lou (Casey Affleck) e Joyce (una deliziosa Jessica Alba) che trasforma la violenza in attrazione erotica di quelle che ti legano e non ti lasciano scelta. La scena è precisa, significativa, non necessita di didascalie. Peccato che il resto del film sia invece noioso.
Chiudo ricordando che Stanley Kubrick affidò la sceneggiatura di Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria al signor Jim Thompson. Non è questo il posto in cui leggerete che i romanzi sono sempre meglio dei film, resta il fatto che in questo caso il film non andrebbe nemmeno visto, ma se non avete letto L’assassino che è in me, correte ai ripari, correte in biblioteca.
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