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Quando si abusa. Anche della parola regista.
di Antinoo
Sfaccimm, ora mi tocca pure dovermi presentare: vogliate scusarmi, ma per davvero, sono Senza amore, il primo film di Renato Giordano. Come dite?! In quanto prima creatura ho diritto a qualche errore? Eh, magari fosse solo qualche!!!
Ma partiamo dall'inizio: se un film si giudicasse solo dalle intenzioni, avrei qualche possibilità di essere accettabile. Sono stato pensato come un'occasione per parlare di un tema difficile come l'abuso sui minori senza cadere nel banale. Purtroppo, evidentemente nessuno sapeva da dove cominciare, quindi siamo di nuovo punto e a capo.
Ok, ci provo, ma mi vergogno: lo so che è un tema di cui non ci si deve vergognare. Ma è una vergogna affrontarlo con tali mezzi. Vi racconto la mia storia, in parte autobiografica in parte no. Luigi (Carlo Alberto Verusio) è un ragazzino tanto bellino che viene preso di mira dell'insospettabile, perché sposato e con figli, vigile Angelo (Francesco De Vito) che con la scusa di fare volontariato in una scuola elementare, una sbirciatina sotto i grembiulini dei maschietti la dà sempre. La cosa stupefacente è che Rita (Lidia Vitale), madre di Luigi, non solo sembra proprio fregarsene ma, anzi, a un certo punto si capisce che è pure d'accordo e ci guadagna in regalini e soldi contanti. Ora, voi che mi leggete, vi viene per caso in mente l'orribile storia della povera Maria Geusa la cui madre, Tiziana Deserto, pare aver fatto lo stesso? Non temete, l'atmosfera non è certo quella seria e da denuncia di un caso di cronaca: qui siamo al sud e, a quanto pare, a Benevento tra una festa del paese e il prete incartapecorito (Giacomo Furia) che legge opportunamente Mc 9,42, Luigi scopre il fascino del ballo grazie all'insegnante di danza Laura (Eleonora Neri): segnatevi questo nome, perché è l'unica donna nella storia a non invecchiare nella storia del cinema, incontra Luigi da piccolissimo e rimane tale e quale per tutto il resto del film, anche se verosimilmente sono passati come minimo 10 anni. Ma per tale e quale intendo identica. Secondo me nemmeno si lava i capelli. Non mi credete? Avete presente Cher? Ecco, meglio. Da qui si capisce che andazzo prenderà il film.
Non vi è bastato l'indizio?! Allora mi spiego meglio. Luigi cresce bello e ballerino. Questo personaggio, ovviamente, il regista deve sostituirlo per forza, ed è qui il dramma. Perché all'eccellente Carlo Alberto Verusio, che insieme alla discretamente brava Lidia Vitale sembra essere l'unico ad avere idea di cosa voglia dire recitare, viene a sostituirsi l'insulso Marco Cacciapuoti, evidentemente scelto solo perché ha un bel faccino e nessuna paura a mostrarsi in situazioni equivoche. Non avete ancora capito? Ma è semplice: cosa fa un povero bambino abusato dal cattivo vigile con la complicità della madre e l'amore per la danza? Diventa un carretto di clichè finocchi. Ho detto finocchi e non gay non a caso. Grazie a Laura, Luigi abbandona la madre dopo una scenetta familiare che fa rimpiangere Un posto al sole e parte alla volta di Roma, dove, nell'ordine: andrà a fare il barman in un locale per soli uomini senza aver mai servito una gazzosa, comincerà a concedersi a chiunque gli prospetti una opportunità lavorativa e poi finirà a battere. Il tutto in tre minuti e senza la benché minima introspezione psicologica. Luigi si evolverà da bambino sensibile e abusato, sensazioni trasmesse grazie all'efficacia del giovanissimo attore, a ridicola macchietta di un certo mondo gay, tra spettacoli di drag queen, mercenario sesso occasionale e riprese con luci ed effetti da prima comunione.
Fortunatamente per lui, ma non per chi deve proseguire nella visione del film, Luigi incontra Giacomo (Renato Giordano, sì lui il mio papà regista) che lo accoglierà in casa sua, senza volere per questo nulla in cambio, gli spianerà la strada nel mondo dello spettacolo grazie alle sue conoscenze - cos'altro se non un'avvizzita insegnante di danza francese tutta moine e vezzi da diva della Scala - ma non gli impedirà di tentare il suicidio, atto estremo d'involontario divertimento, reso attraverso immagini tanto prevedibili quanto spassose. Almeno fosse partita la hit della Rettoressa ci saremmo inchinati a tanto kitsch esibito. Manco per sogno: per voi abbiamo creato appositamente 'na canzuncella ad hoc: Senza amore di Gianni Fiorellino, ovvio polpettone neomelodico quasi presuntuoso nel suo voler raccontare con parole a prova di demente il dramma di un figlio che non solo si sente respinto dalla madre ma dalla madre viene venduto al miglior offerente.
Ora, ci sono tanti modi per raccontare una simile complessità di temi. Sicuramente il meno indicato è affidarli ad un regista per cui la parola dilettante è un eufemismo, che si circonda di attori assolutamente inetti e che, magari, ritenendosi il nuovo Ozpetek, decide di ambientare a Roma tutta la parte del cosiddetto riscatto di Luigi. Che poi, mi verrebbe da chiedere: ma diventare un gay da clichè che tra un cocktail e un cock supera, perché raccomandato, un'audizione è poi così riscattante?
Comunque, ognuno cerca di fare del suo meglio. La cosa di cui più mi vergogno, del resto, non è questa. Mi vergogno per lo spreco di mezzi, per la collaborazione di Mediaplex Italia e Rai Cinema che si sta operando, a quanto pare, per esportarmi nel resto del mondo quando ci sono film molto migliori che non vedranno mai la luce del buio di una sala solo perché magari non si ha dalla propria un Domenico Dolce di Dolce&Gabbana ad applaudire in sala come in questo caso, circondato dal solito stuolo di, mi viene da dire, "Luigi". E perdonatemi la licenza: almeno avrò dato un minimo di senso alla mia storia.
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