Riflessioni su Tideland, di Terry Gilliam

NdA: Queste riflessioni contengono rivelazioni sul finale e su alcuni punti chiave della trama, a chi ritiene che ciò possa non far apprezzare appieno il film si consiglia di leggerle dopo la sua visione

Prendete la sensazione di doloroso straniamento del finale di Brazil, moltiplicatela per 10 e per un’ora e minuti e avrete Tideland.
Sembra un giusto contrappasso contro la convenzionalità quasi buonista di I Fratelli Grimm, che a questo punto inizio a vedere come un film per fare cassa.
Probabilmente la differenza chiave rispetto a Brazil è che in quel caso siamo all’interno di un oniricità resa manifesta dall’esasperazione dell’assurdo e che come tale consente il distaccio, nel caso di Tideland, invece, periodicamente compare un frammento di realtà che ci fa rendere conto che stiamo assistendo sì a un prodotto di fantasia, ma calato nella realtà con cui interagiamo quotidianamente. Il primo frammento che mi viene in mente è lo svenimento di Jeliza-Rose, ma anche il mugolare del suo stomaco per la fame.

A mio parere, un elemento molto importante per questa interpretazione è proprio il finale, che è possibile vedere come conferma irreparabile dell’alienazione di Jeliza Rose, cosa che elimina completamente la sensazione liberatoria della tanto attesa irruzione della realtà nell’onirismo. Ovvero, finalmente un mondo che vorrei definire “normale” irrompe nella “vita” di Jeliza Rose, ma da subito si instilla il dubbio che chi l’ha trovata sia una persona sola che non potrà essere un punto di riferimento per lei (“Ci prenderemo cura l’una dell’altra”) e, soprattutto, mentre la povera bambina nella prima parte del film si mostrava reattiva e molto più attenta alla realtà rispetto ai suoi genitori (per esempio, non vuole bruciare il corpo per timore delle conseguenza, si preoccupa delle reazioni della gente sul pullmann), nel finale appare ormai passiva e assente. Davanti a una persona che potrebbe regalarle quell’abbraccio che Dell le nega, non lo cerca più, continua invece a parlare del suo mondo immaginario non notando (qui si vede il cambiamento che denota lo scollamento irreparabile dalla realtà) la preoccupazione della persona che la accoglie. Infine, mangiando l’arancia in modo assente, non sembra nemmeno rendersi conto dell’evento risolutore che le è capitato, i suoi occhi svaniscono nell’oscurità animati dalle sue lucciole immaginarie, che annegano come la sua gioiosa fantasia nell’oscura tragedia degli eventi che le sono capitati fino a quel momento.

Vedendo il finale in quest’ottica, si può quindi pensare che tutto il film rappresenti la genesi di un individuo disturbato. Questo perché non c’è svolta o risoluzione nell’animo di Jeliza-Rose nemmeno quando viene a contatto col reale. Rimarrà sempre ad ammirare quelle sue luci immaginarie nell’oscurità, mentre tutto continuerà ad accaderle attorno, anche quando potrebbe permettersi di viverlo attivamente.

E’ irrilevante pensare alla storia come potenzialmente vera o falsa. Anche se si trattasse di un allegoria, è coerente nel rappresentare un archetipo delle tragedie che possono generare, nella nostra realtà, deviazioni mentali che non permetteranno mai agli individui che le subiscono di entrare nella società.

Se accettiamo queste interpretazioni non possiamo che rendere onore a Gilliam per la sua lucida e terrificante creazione, rara e tragicamente bella come le migliori opere d’arte, romantiche e violente.