Oui, Oui, les Français vont sucer!
Mon Dieu, que j’aime à baiser les beaux yeux
De ma maîtresse, et à tordre en ma bouche
De ses cheveux l’or fin qui s’escarmouche
Si gaiement dessus deux petits cieux !
Domenica, sette e un quarto di sera, la partita si avvicina ed io mi trovo nel posto più pericoloso del pianeta: il Grande Raccordo Anulare.
Centinaia di persone capiscono che stanno per perdersi il calcio d’inizio e decidono, giustamente, che vale la pena mettere a repentaglio la propria vita pur di evitarlo. Furgoni delle consegne di fornai e ristoranti cominciano a zigzagare a centottanta all’ora tagliando la strada alla qualunque. Una Fiat Cinquecento truccatissima, con sotto un marmittone Abarth grosso come un termosifone, mi sibila sulla destra come un cacciabombardiere lanciato verso un danno collaterale.
Ho paura.
Intorno a me nulla si muove a velocità consona, tutti rombano, inchiodano, azzardano, strombazzano. Probabilmente è il mio tempo ad essersi rallentato, come in una sana puntata di Star Trek.
Invece no, cominciano i tamponamenti.
Gente disperata ai bordi della strada non piange per la Porsche ammaccata ma soltanto per il tempo che scorre, inesorabile.
Mi piacerebbe accostare e mettermi la testa fra le ginocchia, piagnucolando. Purtroppo non si può, ogni volta che mi giro di lato le macchine sfrecciano sempre più veloci. Adesso nulla va a meno di duecento all’ora, nemmeno gli scooter. Capisco che andare piano non serve e me ne faccio una ragione, del resto la macchina lenta in questo inferno è solo un inutile e troppo facile bersaglio mobile.
Ci imbottigliamo: se tutti corrono troppo non arriva nessuno, lezione di vita da annotare.
Abbiamo tutti i finestrini aperti, tutti la radio alta, tutti la stessa stazione, tutti la stessa faccia, tutti gli stessi occhi imploranti.
Oh, Dio, mio piccolo Dio, anche se non esisti prendici lo stesso, soffiaci tutti via da questo stradone, liberaci da queste macchine col tuo grosso apriscatole celeste e depositaci sui nostri divani, nelle nostre case, dai nostri amici, dalle nostre famiglie.
Dio, cazzo, falla una cosa utile ogni tanto, via.
Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Cantiamo tutti, noi tifosi in scatola.
Primi minuti.
Rigore.
Rigore?
Come rigore?
In che senso?
Il padre di famiglia due Audi più in là mi guarda interrogativo. Io gli rispondo allargando lo sguardo nel massimo della sorpresa che riesco ad esprimere. Qualche Panda più avanti una bambina dorme.
Tutto l’ingorgo la invidia.
Per tre nanosecondi il raccordo diventa una sorta di irreale ciambellone bruciato coperto da variopinte pietre preziose.
Poi Zidane segna.
Ripartiamo, adesso tutti vanno piano.
[Continua]
Share on Facebook