Manganelli

La polizia continua a manganellare senza ritegno: dal G8 in poi pare di essere tornati ai tempi di Tambroni oppure, esempio ancora più calzante, sembra di essere in una qualsiasi banana republic dittatoriale del Sudamerica. Oggi, alla riapertura del processo contro i carnefici della Diaz e di Bolzaneto, era presente uno solo degli imputati. Come si può mostrare una tale arroganza ed un tale spregio delle regole e della legalità? Intanto la spregevole Santanchè mostra il dito agli studenti che manifestano, salvo poi fare una figura da peracottara prima negando di aver fatto quel gesto, poi criticando la stampa tutta che si è permessa di pubblicare la foto incriminante.
La questione è che il fascistoidismo è una piaga ereditaria di lunghissima data e difficilmente sradicabile dalle “forze dell’ordine”. Leggiamo questo passo illuminante e cerchiamo di capire perché le conseguenze del ventennio fascista stanno continuando ancora oggi, l’Italia è una “democrazia” incompiuta e ci troviamo dei vecchi arnesi decrepiti come Mirko Tremaglia fra gli zebedei.

…Il risultato fu che negli anni dal 1945 al 1947 nessuno degli apparati dello Stato fu messo in discussione e non si fece al­cun tentativo per rinnovare l’amministrazione centrale a Ro­ma, grandemente dilatatasi sotto Mussolini. Nessuno degli enti speciali semi-indipendenti creati dal fascismo per interve­nire nel campo dell’assistenza sociale o dell’economia fu sot­toposto a una critica seria, e non si fece alcun passo per modi­ficare il sistema di reclutamento e di carriera dei giudici, ben­ché in questo periodo ministro della Giustizia fosse Togliatti.
Se l’apparato rimase sostanzialmente lo stesso, fu fatto inve­ce qualche tentativo per epurare il personale. L’intera questio­ne dell’epurazione risultò uno dei problemi più scottanti dell’e­poca. Chi aveva combattuto nella Resistenza o aveva sofferto sotto il fascismo pretendeva, con qualche giustificazione, che i membri del regime fascista non sfuggissero a una qualche pu­nizione. D’altro canto, epurare l’amministrazione dai fascisti iscritti significava piu o meno chiuderla, dal momento che la tessera del partito fascista era stata obbligatoria per tutti i fun­zionari statali. L’attività delle commissioni di epurazione riuscì ad abbinare i lati peggiori di questo stato di cose: lasciò liberi alcuni tra i maggiori responsabili del fascismo, incriminando invece il personale dei livelli piu bassi. Questo modo di proce­dere esasperò tutti coloro che erano entrati nell’amministrazio­ne durante il ventennio, poiché vedevano così compromesso il proprio destino in un momento di disoccupazione diffusa.
L’epurazione si risolse in un fallimento completo. La magi­stratura non ne fu minimamente toccata e quando fu il suo turno di giudicare prosciolse quanti piu imputati poté dall’ac­cusa di collaborazione col passato regime. Anche altri settori fondamentali del personale statale rimasero inviolati. Nel 1960 si calcolò che 62 dei 64 prefetti in servizio erano stati funzionari sotto il fascismo. Lo stesso era vero per tutti i 135 questori e per i loro 139 vice. Solo cinque di essi avevano partecipato in qualche modo alla Resistenza.
I dirigenti fascisti furono assolti con formulazioni oltrag­giose. Paolo Grano, capo di stato maggiore di Mussolini du­rante la marcia su Roma, membro del Gran Consiglio e sotto­segretario agli Interni, fu liberato perché il Tribunale fu inca­pace di stabilire un «nesso causale» tra il suo comportamento e la distruzione della democrazia. Renato Ricci fu riconosciu­to non colpevole in quanto la Guardia nazionale di Salò, di cui era stato comandante, fu considerata nient’altro che una forza di polizia interna. Nel giugno 1946 Togliatti promulgò un’amnistia che segnò la fine dell’epurazione. Proposta per motivi umanitari, l’am­nistia sollevò una valanga di critiche. Grazie alle sue norme sfuggirono alla giustizia anche i fascisti torturatori. Venne sta­bilita una distinzione grottesca e disgraziata tra torture «nor­mali» e «sevizie particolarmente efferate». Con questa for­mula i tribunali riuscirono ad assolvere crimini quali lo stupro plurimo di una partigiana, la tortura di alcuni partigiani appe­si al soffitto e presi a calci e pugni come un sacco da pugile, la somministrazione di scariche elettriche sui genitali attraverso i fili di un telefono da campo. Per quest’ultimo caso la Corte di Cassazione stabili che le torture «furono fatte soltanto a scopo intimidatorio e non per bestiale insensibilità come si sa­rebbe dovuto ritenere se tali applicazioni fossero avvenute a mezzo della corrente ordinaria»
Alla fin fine l’unica effettiva epurazione fu quella condotta dai ministri democristiani contro i partigiani e gli antifascisti che erano entrati nell’amministrazione statale subito dopo l’insurrezione nazionale. Lentamente ma con determinazione De Gasperi sostitui tutti i prefetti nominati dal Clnai con funzionari di carriera di propria scelta. E nel 1947-48 il nuovo ministro democristiano degli Interni, Mario Scelba, epurò con sveltezza la polizia dal consistente numero di partigiani che vi erano entrati nell’aprile 1945″.

Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal Dopoguerra ad Oggi, pp. 120 – 121, Torino, 1988