A volte i dibattiti fra la critica specialistico-cartacea e quella on-line riservano qualche sorpresa e possono portare a dei veri e propri confronti anche aspri. Alessio Guzzano, critico cinematografico rappresentante della free-press di City e titolare di un sito personale, si è trovato a dover rispondere al ritratto tracciato da Simone Ciaruffoli, in visita nel suo sito-blog per una rubrica dedicata ai blog cinematografici comparsa sul numero di Settembre de “I Duellanti”. I risultati sono quantomeno esilaranti, tanto da far venir voglia di pubblicare per intero il dibattito su queste pagine. Chissà che un giorno “I Duellanti” non visitino anche il nostro blog.
Alessio Guzzano è un fenomeno. E va studiato.
È lo spettatore che ce l’ha fatta. E se ne compiace. Il suo sito di fatto è un blog, diario di un ego sconfinato che distribuisce perle di saggezza al popolo. Edmund Husserl, se avesse potuto, avrebbe tranquillamente inserito nella sua nuova scienza anche il fenomeno Alessio Guzzano, colui che senza timore scrive di Hitchcock come di un pallone gonfiato da Truffaut. Lapide alla Zelig (non il film), tipologia di frase che ogni individuo che voglia passare alla storia deve prima o poi formulare. Simbolica, essenziale, difficile da dimenticare, evocativa, straziante per come profana un amore (quello truffautiano) in nome di un odio. Alessio Guzzano (www.alessioguzzano.com) è un affabulatore, è come Maria De Filippi, solo che quest’ultima usa un linguaggio moderno. In entrambi gli intenti sono però i medesimi: arrivare al lettore nel primo caso, allo spettatore nel secondo. In televisione è con una calcolata prossemica che la presentatrice fidelizza i suoi appassionati, tre le pagine di “City” (il free press del Gruppo RCS distribuito in nove città italiane), o quelle del suo sito-blog, è con l’umorismo e una prosa arcaica che il mitico “Guzz” attecchisce come le radici fiorite del video “Enjoy the silence”. Quello tra Guzz e il suo lettore è un amore che non teme confronti. E’ il suddito che diventa Re e ai sudditi non fa paura. E’ uno di loro. Guzz infatti non vorrebbe mai ambire alla nomea di miglior critico (nemmeno ci si sente, critico), ma di miglior spettatore sì. E’ lo spettatore che ce l’ha fatta, è il soggettivismo che matura di uno scatto. E’ il soggetto che diventa fenomeno e soggiace all’adulazione di chi spera di raggiungerlo, prima o poi. Questo è www.alessioguzzano.com. Non importa che la meni ancora da purista della sceneggiatura, o che sgonfiando Hitchcock sgonfi la metà del cinema tutto. E nemmeno che non abbia un-barlume-uno dei processi filmici e della complessità del Cinema (della quale, guarda caso, Hitchcock è un archetipo), l’importante è parlare la lingua del popolo e al contempo manomettere, da abile sensale, il lavoro della critica specialistica. Il suo soggettivismo sbandierato (ovvero soggettiva che si fa metodo, ovvero oggettivismo) con tutti i suoi componenti e aliti democratici è la cifra del suo atteggiamento nei confronti del lettore, e poi del cinema. L’ironia con la quale demolisce i film, ha lo stesso valore sensazionalistico e autoreferenziale delle opere di Cattelan. Solo che per l’artista padovano la critica e l’oggetto della stessa coincidono, per Guzz la sua critica coincide solo con se stesso e con la concupiscenza offerta al lettore: guarda come ti ci faccio ridere sopra a ‘sto filmetto!
E’ un fenomeno il Guzz, e va studiato come qualsiasi sintomo sociale. Anche se poi il meccanismo ha le gambe corte. La sua abile ironia va infatti accolta non come prassi stilistica, altrimenti Guzz la dovrebbe adottare anche per i film di suo gusto, ma come furbo distacco moralistico dalle opere detestate. C’è del marcio, direbbe qualcuno. Ma non importa, perché questo è il pegno da saldare per chi, scrivendo, istituisce un rapporto intimo con chi lo legge; come il romanziere. A Guzz non interessa tanto il film, o meglio il suo regista, gli interessa la sua platea e il canale privilegiato attraverso il quale spedire frantumi del proprio ego, o di soggettività , per usare un eufemismo. In un certo senso sta agli antipodi di un Serge Daney, che con i suoi pezzi scriveva una “lettera aperta†al regista del film, e il fatto che questa venisse intercettata e letta anche dai potenziali spettatori di quel film, era una cosa secondaria. Un’umiltà quella di Daney, un amore per il cinema quello di Daney, che è per sua natura il maggiore rispetto esercitabile nei confronti del lettore: dimenticare di avere di fronte una platea e di esserne il protagonista. Proprio quello che non fa Alessio Guzzano, il suo sito infatti è impostato come un blog, più di un blog (per questo ce ne occupiamo qui), teso a venerare se stesso come fosse cellulosa tra la cellulosa. E pensare che è proprio Guzzano uno di quelli che ce l’ha a morte con le riviste specializzate, con chi, a sua detta, ma non solo sua (si pensi al Mereghetti), non fa altro che perdersi in sterili onanismi e autoreferenzialità . www.alessioguzzano.com è comunque il sito del Guzz, di chi non si perde in sterili onanismi e autoreferenzialità , di chi ha in mente solo i film e il cinema quello vero e fico, quello con la lettera “G” maiuscola. Stay tuned…
SIMONE CIARUFFOLI
Raccolgo l’invito dell’amico/collega Ezio Alberione (scelga lui ciò che meno l’offende, lo immagino gongolante per interposta penna) e replico alla recensione del mio sito (in realtà : della mia persona e dunque chiedo venia se parlerò di me) a firma di Simone Ciaruffoli. Lo faccio volentieri, a prezzo di nuove accuse al mio ego-presunto-sconfinato. Che non ambisce a
, in quanto nato a mollo in un outsider per vocazione e scelta (controllare che non sia retorica), uno che guarda e scrive refrattario ad ogni maniglia festivaliera, consorzio universitario, cricca giornalistica e che – valga come promessa a lorsignori in allarme – tra un paio d’anni farà un altro lavoro guardando qualcos’altro (gradito lo sport). Scrivo, rigorosamente a pagamento (il che consente all’uomo e al sito di essere liberi da sponsor), su convocazione di coloro che apprezzano il mio stile, ammesso io ne abbia uno. Scrivo fiducioso che i miei giudizi non vengano liquidati come odio/boutade da chi confessa di vivere di archetipi. Da chi coltiva dubbi da terrazza (come stroncare la Wertmüller, ché poi me la ritrovo a cena?), da chi si ritiene commissario di un presunto popolo sempre sull’orlo della punizione siberiana (figuri-ni che incappano nelle geometrie esistenziali di “Closer” e gli rimproverano ), da chi se gli tocchi il vecchio satiro Hitch – sbrigativamente, lo riconosco; gli spazi di “City” sono ristretti –, se spalanchi la finestra del cortile degli intoccabili, subito strepita di processi filmici e prossemica (!!), perché nel regista che saprebbe troppo il cinema si esaurirebbe. Vissuti invano: Lang, Chaplin, Welles, Marcel (eresia!) Carné, pallone sgonfiato da Truffaut e poi riabilitato con la consueta grinta assolutista (rimando ai i dubbi di Claudio Carabba sui limiti ‘generazionali’ del francese che noi tutti generazionalmente amiamo). Ma Ciaruffoli ha ragione nel merito. Che per me è tale e per lui/voi demerito. Ha frugato con proficua dedizione il sito e la psicologia del sottoscritto. E dunque sorvolo sul paragone con la De Filippi (offese così si regolano in qualche orto, di buon mattino, a scudisciate) e sull’ammiccante “Guzz” che egli berluschinamente mi appioppa nell’immaginario collettivo. Egli stigmatizza ciò che io rivendico. Ritiene marchio d’infamia critica le modalità d’indagine e comunicazione che a me paiono necessarie. Strabilia di fronte a chi si dichiara soltanto un sagomato filtro verso il lettore ed espone fuori dalla torre d’avorio i suoi percorsi e strumenti, ovvero se stesso (la mia formazione è psicologico/letteraria, non ho problemi ad ammettere di essermi dovuto studiare il controcampo). Che fa il tifo pro o contro proponendo realtà increspate dal tifo medesimo. E’ quello che il vostro recente nemico Mereghetti chiama , ancora convinto che la critica esista. Invece esistono soltanto i critici, vittime/artefici di allenate, motivabili pulsioni. E’ una realtà inevitabile. Onesta. Il contrario della pregiata quanto inutile autoreferenzialità in cui molti duellanti si crogiolano (mica ha sempre torto, il Mereghetti). Cosa intende dire il critico teatrale del “Corriere” Franco Cordelli quando scrive degli allestimenti di Strehler: < …perché non mi piacevano e oggi mi piacciono fino alle lacrime? Credo che nel 1986 avrei rifiutato "Temporale" per le sue qualità poetiche e, in apparenza, al di sopra della mischia: cioè per la concentrazione e intimità che oggi mi appaiono sempre più urgenti>. Forse che il critico non è soltanto un mezzo ma anche parte del fine? Ha ragione infine Ciaruffoli quando trasecola al suono di quella desueta parola: lettore. Io manometterei il lavoro della critica specialistica? Troppo onore. Sabotatore da medaglia. Guastatore. Sarei la benedetta orgia che insidia la reciproca solinga masturbazione. L’amplesso degli aggettivi comprensibili che affligge l’eloquio segaiolo (ops, onanista). Come forse direbbe l’iconoclasta Cattelan, al quale il “Ciaru” indegnamente mi appaia.
Con fiducia
ALESSIO GUZZANO
Fonte: www.alessioguzzano.com
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