Quello che colpisce subito, sfogliando il libretto verde acido di questo “Betaâ€, sono le tre foto in bianco e nero, epoca inizio anni settanta. Queste foto ritraggono un gruppo musicale formato da cinque persone tra cui spicca un giovane ragazzo urlante le cui caratteristiche sono un naso alquanto pronunciato e un costumino a righe alquanto improponibile e, sì, il ragazzo in questione (alle prese inoltre con quello che sembra essere un tubo di gomma di warholiana memoria) è proprio lui: Franco Battiato.
Il gruppo quindi è la Battiato Pollution, come si apprende sempre dalle note interne del libretto, probabilmente la prima band seria con cui il Battiato nazionale ha mosso i suoi primi passi nel campo musicale e, dato che quello è dai più considerato il periodo “sperimentale†di Battiato, la musica suonata doveva essere abbastanza ostica.
Chi scrive a questo punto non può che confessare che all’epoca di queste sperimentali et ostiche gesta era troppo piccolo per goderne e anzi, a dirla tutta, non era proprio nato, quindi si trova in effetti impossibilitato a scrivere una recensione completa, e cioè a giudicare questo lavoro “moderno†in rapporto al lavoro originale degli anni settanta, farà quindi del suo meglio basando il suo giudizio (ma meglio dire “la sua opinioneâ€) solo sull’ascolto attento di questo unico progetto quindi, progetto revivalistico o d’omaggio che dir si voglia.
Dal punto di vista dell’ascolto (ma anche della grafica, basta dare un’occhiata alle foto di cui sopra) invece quello che colpisce subito è l’“ibridazione†di questo disco, non solo perché temporalmente sospeso tra gli anni settanta e gli anni duemila, ma anche perché questa è musica che nasce come concerto e finisce come prodotto “rifinito†in studio.
È lo stesso promotore del progetto Gianni Mocchetti, originariamente bassista della suddetta Battiato Pollution, a rivelare che a quello che è stato suonato dal vivo sono stati aggiunti degli effetti sonori (“magheggiâ€, li definisce) ed è stata fatta qualche sovraincisione: è da apprezzare quindi la sua sincerità , considerando che band molto più famose tendono a correggere gli errori dei loro concerti venduti a caro prezzo nei negozi di cd senza dire nulla.
Le canzoni, in genere, non vanno oltre un certo pop progressivo che si sentiva negli anni settanta appunto, pop accostabile anche a certe cose di Battisti talvolta, e forse anche a qualche San Remo dei tempi andati (tempi migliori sicuramente), addirittura in certe parti queste canzoni sono più pop di un certo Battiato moderno. Insomma, a mio modesto parere, niente di così tanto “sperimentale†e sconvolgente, tuttavia grazie a suoni puliti e ben prodotti e al gusto degli arrangiamenti il disco scorre bene, senza annoiare.
Se proprio si vuole trovare qualcosa di “sperimentale†in questo disco, allora bisogna cercare nell’uso di certe voci, in qualche “magheggio†produttivo, ma soprattutto nei testi che spesso si presentano scientifici, visionari, criptici nella migliore tradizione battiatiana.
In conclusione, visto il suo innegabile essere di nicchia, forse a non tutti piacerà questo disco ed è naturale che sia così, ma è sicuro che lì fuori ci sono anche un sacco di nostalgici che quegli anni li hanno vissuti veramente e saranno ben felici di apprezzare il lavoro “beta†(ci sarà un’altra versione?) di Mocchetti.
Questo disco è per loro.